Simeone prende in braccio Gesù e benedice Dio: un gesto tipicamente sacerdotale e un’autentica liturgia dell’offerta del sacrificio. Egli officia nel tempio la benedizione.
Una benedizione che fa eco a quella di Zaccaria nel suo cantico sacerdotale, ma anche a quella di Elisabetta che, insieme alla madre, impartì la prima benedizione al frutto del grembo che era Gesù. Un sacerdote, un laico, una donna che benedicono Dio e il Figlio di Dio: la benedizione non è ufficio d’élite, ma esubero di gioia che ciascuno può offrire a Dio.
Tanta è la pienezza di questo giorno che Simeone chiede a Dio di morire, perché lo spazio del suo corpo non può contenerla ed anche il tempo si deve dilatare per poterne consegnare la grandezza. Simeone appare benedetto come il padre Abramo, che morì “vecchio e sazio di giorni” riconciliandosi ai padri e sepolto dai suoi figli Isacco e Ismaele. Quel morire di Abramo era un nascere a vita piena, così come adesso quello di Simeone: la vita piena è la salvezza di Israele, preparata da Dio davanti a tutti i popoli. (Rosanna Virgili, I Vangeli tradotti e commentati da quattro bibliste)
Per riflettere
Camminando con pazienza, Simeone non si è lasciato logorare dallo scorrere del tempo.
Con pazienza, egli custodisce la promessa, senza lasciarsi consumare dall’amarezza per il tempo passato. La pazienza di Simeone è specchio della pazienza di Dio. Questo è il motivo della nostra speranza: Dio ci attende senza stancarsi mai. (Papa Francesco, 2 febbraio 2021)
AUTORI: Michela e Roberto Roncella
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi