Questo brano evangelico, inizio del capitolo 15 di Giovanni, sembra contraddire quanto poco prima affermato nel capitolo 14 circa la consustanzialità fra Gesù e il Padre. Qui il Padre è l’agricoltore, ovvero una persona, e Gesù è la vite, ovvero una pianta.
Due cose completamente differenti. Come allora si concilia questa apparente contraddizione? La spiegazione la troviamo al termine del brano: (se) le mie parole rimangono in voi… Si capisce, allora, che in questa pagina evangelica quell’Io iniziale è in realtà usato in maniera metaforica per indicar la Sua parola, i Suoi insegnamenti.
Sono i Suoi insegnamenti, e quindi, in definitiva il suo costante richiamo all’amore, la vite di cui parla il Vangelo. È, cioè, il Suo esempio comportamentale la “vite” da cui dovremo trarre linfa per il nostro operare di tutti i giorni. Perché potremmo anche credere fermamente nella natura divina di Gesù, nel suo essere Dio, ma, come dice San Giacomo, una fede senza le opere sarebbe morta.
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Ed è questa morte il senso (figurato) dell’essere gettati nel fuoco ed essere bruciati. In altre parole, significherebbe avere una fede che non serve a niente. Forse, se non fosse per la Misericordia del Padre, nemmeno alla nostra salvezza. Parafrasando Benedetto XVI in una sua catechesi, “la fede, se è vera, se è reale, diventa amore, diventa carità, si esprime nella carità”.
E “una fede senza carità, non sarebbe vera fede”. È sicuramente questo il senso profondo di questa pagina evangelica: un invito ad amare!
Per riflettere
Chiediamoci quanto la nostra fede si esprime nell’amore indistinto verso gli altri. Quanto il nostro amore per Dio si concretizza nell’amare il prossimo come noi stessi. Quanto e come rispondiamo all’invito di Gesù ad amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amati fino a donare la Sua vita per noi.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi