Questa pagina di Vangelo ci presenta due grandi tentazioni: il giudizio, severissimo nei confronti del fratello e sempre indulgente e comprensivo verso me stesso, e l’appariscenza.
Credo che l’origine di entrambi sia la stessa: nel giardino all’inizio della Genesi un serpente convince con l’inganno i nostri progenitori Adamo ed Eva che Dio, in fin dei conti, sia un cinico; che Dio ci abbia creati soffiando in noi il desiderio della vita, ma senza alcuna intenzone di darcela veramente, questa vita. Questa zizzania, ahimé, ha germogliato e tutt’ora cresce in noi, tenendoci succubi di una paura da cui è molto difficile liberarsi: se non mi occupo io di trionfare sugli altri, costi quel che costi, finirò per essere schiacciato.
Se non affrontiamo questa paura con la preghiera e con l’esercizio costante della mitezza e della generosità, essa rimane come uno stonato sottofondo nella nostra vita e un po’ alla volta corrode le relazioni con gli altri: il bisogno di affermare me stesso dalla presunta minaccia che sono i miei fratelli mi costringe, come gli scribi e i farisei rimproverati da Gesù, a vivere nella perenne preoccupazione di dimostrare che gli altri hanno torto e io ho ragione; ma siccome io stesso non credo di convincere nessuno, devo anche usare ogni sorta di espediente per essere ammirato, surrogando con i vani riconoscimenti che (forse) ricevo la consapevolezza del vuoto che sto creando dentro di me. Ci sono vari modi: esibire la propria devozione (i filattèri e le frange), farsi vedere con le persone giuste, pretendere titoli di riconoscimento.
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La mia vita rischia di diventare una soffocante agonia per rimanere in qualche modo a galla in mezzo ai giudizi altrettanto severi degli altri nei miei confronti, e tutta l’ammirazione che credo di accumulare si rivela di punto in bianco effimera e inutile.
La proposta di Gesù è un’altra: umiliamoci, ossia riconosciamoci terra (humus in latino); la terra con cui Dio creò l’uomo e la donna nel giardino originale aggiungendoci il soffio della vita. Fidiamoci del Dio che ci ha creati ed amati, che vede nel nostro cuore e che si prende cura della nostra vita senza che noi dobbiamo dimostrare di essere chissà chi. È lui che riempie la nostra vita di ciò di cui ha bisogno veramente.
Per riflettere
Probabilmente nessuno di noi riesce ad affrancarsi veramente dalle tentazioni di cui abbiamo parlato. Sono opera del Diavolo, sono più forti della nostra umanità. Ma non sono più forti di Dio: quando ci rendiamo conto di aver giudicato o di aver pensato alla nostra apparenza, chiediamo perdono a Dio e ai fratelli e nella preghiera rinnoviamo il nostro desiderio che Dio sia il Signore della nostra vita.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi