L’indicazione che Gesù dà in questo brano è categorica: non giudicate. Questa indicazione è assoluta e non ammette eccezioni. E ugualmente categorica è l’evidenza che Gesù proclama nel paragrafo successivo: nei nostri occhi ci sono delle travi (“grandi così”, potrebbe aggiungere), e tutto quello che noi facciamo invece è spulciare le pagliuzze negli occhi altrui. Non ci stiamo forse perdendo qualcosa?
Quindi in questo brano non vi è solo un invito ad evitare il giudizio verso l’altro, ma soprattutto un’incitazione a volgere l’occhio verso noi stessi, cercando l’inevitabile trave che ci impedisce di vedere chiaramente. Ed è soltanto dopo aver capito le approssimazioni del nostro sguardo, aver contemplato quanto la nostra visione delle cose sia distorta dalle nostre imperfezioni, aver riconosciuto quanto in ultima istanza siamo fragili e bisognosi di uno sguardo d’amore, che possiamo spostare i nostri occhi sui nostri fratelli e riconoscerli in quanto tali.
È a questo punto che un’altra tentazione potrebbe insinuarsi in noi: quella di giudicare talmente enorme e insormontabile la trave nel nostro occhio da non permetterci nemmeno di alzare gli occhi verso i fratelli. Ecco che l’indicazione categorica iniziale torna a salvarci: non giudicate. Non provate a misurare la lunghezza della vostra trave, non tentate di contrattare col Signore il peso delle vostre colpe. Solo lui può giudicare. Ed il Vangelo ci è venuto ad annunciare una buona novella: che il giudizio del Signore è il giudizio di un padre, che ci conosce, scruta i nostri cuori e provvede per noi. Di che abbiamo paura?
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Quanto è liberante questa prospettiva? Quanto ci conforta? Ci solleva sia dalla tentazione di giudicare gli altri che dalla paura di essere giudicati. E una volta liberati da queste tentazioni e paure possiamo volgere lo sguardo agli altri, riconoscendoli come fratelli, ugualmente fragili e ugualmente bisognosi dello sguardo di Dio, e accettarli per quello che sono: un dono del Signore.
Per riflettere
Riesco ad evitare il giudizio degli altri (e di me stesso) e lascio a Dio tale compito? Riesco a posare uno sguardo d’amore sugli altri e a riconoscere in loro la mia stessa fragilità e debolezza?
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi