Giovedì 9 novembre abbiamo meditato la Parola di Giovanni nella ricorrenza della Dedicazione della Basilica Lateranense. Il brano di oggi richiama quello giovanneo mettendo in evidenza l’importanza del tempio di Gerusalemme, che Gesù e la sua famiglia frequentavano, nel rispetto della sua funzione. Che è quella di presentare Dio misericordioso che cerca ogni strategia per portare alla salvezza le sue creature.
Il Maestro insegnava che non esistono privilegi in ordine alla salvezza: è aperta a tutti e non è esclusa per nessuno. Insegnava ripetutamente e mostrava nelle opere quanto proclamato nel suo cammino terreno: il desiderio che a tutti fosse portato il lieto annuncio. Ma la funzione del luogo maggiormente dedicato alla relazione con Dio, il tempio, si è corrotto nel tempo al punto che il Galileo lo definisce “covo di ladri”.
Un luogo gestito, lo leggiamo subito dopo, dai capi dei sacerdoti (la classe dei sadducei) e dagli scribi, cioè da coloro che “gestivano” il sacro, esercitando il loro peso soprattutto nel tempio.
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Non a caso, fin dalla giovinezza, il Nazareno impartisce il suo pensiero proprio dentro il tempio, indicando ai sapienti una lettura della Parola diversa da quella proposta ai fedeli.
Una controversia che non si è mai risolta: gli avversari del Signore era pienamente consapevoli del rischio che correvano lasciando spazio a Gesù di Nazaret. Il ruolo del Tempio passa in secondo piano di fronte al rischio di perdere un’autorità e una condizione messa in discussione dall’insegnamento dell’Emmanuele. Ben consapevoli del quadro generale in cui versava la loro situazione, cioè che predicava la sostituzione del tempio di pietra con lui stesso, comprendevano che per uscirne rimanevano due strade.
La prima, come mediteremo domani, portava a screditare quel profeta che tanto successo otteneva ovunque passasse. Oppure, come seconda opzione, trovare le modalità per rimuovere definitivamente il problema: ucciderlo.
Il primo tentativo non andrà mai a buon fine. Il secondo, purtroppo, riuscirà come celebriamo ogni anno nel Triduo Pasquale.
Per riflettere
Luca termina il brano così: “Tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo”. Giusto. Anche noi dovremmo seguire gli insegnamenti del Maestro, “leggendolo” e incontrandolo nella Parola. Sappiamo, però, che lo stesso popolo invocherà, poco dopo, la morte di Gesù. Ascoltare la sua Parola è necessario. Ma deve essere vissuta nella quotidianità.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi