In questo breve brano di Luca il senso di precarietà del discepolo raggiunge il suo massimo livello. Non basta il crollo del tempio, non bastano carestie, epidemie e guerre: le incomprensioni e le persecuzioni toccano anche la sfera più intima e apparentemente più rassicurante dell’esperienza umana: i legami familiari e parentali. Chi sceglie di seguire Cristo rischia di essere consegnato agli avversari perfino dai genitori e dai fratelli per essere gettato in prigione e anche ucciso a motivo di questa sequela.
Insieme all’annuncio della persecuzione, Gesù rassicura “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”: affermazione del tutto incoerente per chi racchiude l’esperienza umana nel solo perimetro della vita terrena, ma che diventa comprensibile nella prospettiva della vita eterna. Il chicco di grano deve marcire sotto terra per portare frutto.
La persecuzione e la morte, quindi, non sono una conclusione, ma un passaggio che porta alla vita. Un passaggio che può essere fecondo, come si dice oggi “un’opportunità”. Perché in quel frangente, quando ogni certezza umana viene meno e la vulnerabilità è al suo massimo grado, si ha occasione di dare testimonianza della forza di Cristo. Non la testimonianza di discorsi forbiti o di parole convincenti, che il Signore invita a non cercare nemmeno davanti ai tribunali e ai governanti, perché è lo Spirito a dare parola e sapienza.
La testimonianza non consiste nel tentativo di convincere l’altro della giustezza delle proprie convinzioni (che sarebbe una forma di autoaffermazione più nociva che utile alla diffusione del Vangelo), ma nel lasciare, vivendo o anche morendo, che lo Spirito compia la sua opera.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
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