Discutono, discutono ancora i discepoli. Ieri discutevano di come scacciare il demonio (senza riuscirci), oggi discutono di vana gloria. Discutere può essere un circolo vizioso nel quale spesso cadiamo troppo facilmente. Trascuriamo la preghiera che ci salva per curare la vanità che ci condanna! La buona notizia però è che Gesù, che conosce bene i nostri limiti umani, non ci condanna.
Lui stesso ci dice di essere venuto non a condannare ma a perdonare. E per guidarci lungo il cammino. Il Signore non si stanca di ammaestrarci con dolcezza e infinita pazienza. Ci offre sempre, insieme alle parole, anche gesti ed esempi concreti. In contrapposizione ai discorsi di grandezza che i discepoli fanno, Gesù prende un bambino e lo pone in mezzo a loro.
Chi rappresenta quel bambino? Rappresenta il povero, l’indifeso, il bisognoso; un bambino infatti ha bisogno di tutto: cibo, cure, protezione, e la cosa significativa è che non può offrire nulla in cambio di tutto ciò. Non può dare in cambio denaro, consenso, potere o favori. Rappresenta la necessità di capire che l’amore esiste solo ed esclusivamente nella gratuità.
Perché, poi, Gesù lo abbraccia? Per far vedere qualcosa di ancor più fondamentale: la carità senza relazione è vuota, rimane nella forma ma perde la sostanza. La carità senza accoglienza non è piena e non riempie, ma anzi rischia di creare distanza tra i cuori. Ed infine, Gesù ci dice che basta fare tutto questo anche solo ad uno di questi piccoli, poveri, bisognosi, per fare esperienza completa di Dio.
Gesù non ci invita a diventare filantropi ma a cercare il suo volto e la sua presenza per goderne a pieno.
I commenti sono curati da Rita e Giovanni Giordanelli
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi