Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Il Vangelo non è semplicemente il racconto di alcuni avvenimenti in particolare, perché se lo fosse non riuscirebbe a raccontare con tanta accuratezza la storia che è anche di ciascuno di noi. Non vi è forse nell’incredulità e nella disillusione dei discepoli lo specchio esatto di alcune nostre emozioni?
Non c’è forse, in questa storia, la nostra storia personale di esseri umani? Il testo evangelico ci offre una rosa possibile di situazioni, stati emotivi, eventi fondamentali, che prima o poi ciascuno di noi si trova a sperimentare e vivere. Così come le Sacre Scritture, tutte, sembrano essere un grande racconto dell’umanità, la Buona Notizia al pari permette di conoscere il Figlio di Dio quanto l’uomo nei suoi aspetti più essenziali.
Nel caso dell’episodio appena letto, possiamo dire che le nostre speranze si consumano presto e che nel confronto con la realtà è dura mantenere vive delle aspettative che non sono confermate dai fatti. La speranza è in se stessa paradossale, perché ci chiede di credere in qualcosa che non ha evidenze. Eppure, esattamente per queste stesse caratteristiche, riveste la parte più fondamentale delle nostre vite.
Se senza carità saremmo un cembalo che suona a vuoto (1Cor 13, 1), senza speranza saremmo un’umanità priva di vita. Il cammino verso Emmaus è il cammino della nostra esistenza. Il Signore ci viene incontro e si fa riconoscere negli aspetti più importanti dei nostri giorni, per ricordarci che la nostra storia non si conclude esclusivamente in ciò che vediamo o viviamo.
Se, dunque, è vera la metafora, c’è necessità di rimanere vigili e in ascolto; è indispensabile più che mai saper riconoscere il Signore lungo il percorso e saperlo scorgere nel pane spezzato. In tal senso l’Eucarestia è un tratto imprescindibile, proprio perché rinnova nelle nostre vite la presenza del Signore Gesù.
AUTORI: I commenti di questo mese sono curati da Beatrice Granaroli
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi