I buoni in paradiso e i cattivi all’inferno: questa’idea alquanto schematica, che ha avuto grande forza in secoli passati, e tuttora è alla base di una certa religiosità “retributiva”, per cui ciascuno raccoglierà in base a ciò che ha seminato.
Non è una prospettiva del tutto sbagliata, ha il pregio di evidenziare il tema della libertà di scelta fra bene e male da parte dell’uomo. Ricordiamo le parole del Deuteronomio: “Io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore, tuo Dio, ti benedica nella terra in cui tu stai per entrare per prenderne possesso”.
Il rischio di questa visione, però, è quello di ridurre la fede a norma morale, a buon comportamento utile a guadagnare il paradiso, o a scansare l’inferno. Il testo evangelico che la liturgia oggi rovescia completamente la prospettiva: ci rivela che alla fine dei tempi il Giudice non sarà imparziale, ha espressamente dichiarato la volontà di non perdere nessuno, ma vuole che tutti si salvino, ed ha inviato il Figlio per dare all’umanità questa certezza.
Nella morte e resurrezione di Gesù noi siamo salvi: è lui che ha pagato per il nostro peccato e ci ha conquistato la vita nuova. Il cristiano cammina sulle vie del Signore e obbedisce ai suoi comandi non per sfuggire l’ira di un giudice severo, ma per la sovrabbondanza dell’amore eterno e infinito che Dio ha riversato su di lui.
“Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5, 17).
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
I commenti di questo mese sono curati da Luisa Prodi