Molto tempo fa mi trovavo a parlare con un amico al quale era stato appena diagnosticato un brutto male, difficilmente curabile. Esaurite le generiche parole di consolazione e di speranza che si usano in queste circostanze, gli raccomandai la preghiera. L’amico mi rispose che, non essendo praticante e neanche granchรฉ credente, gli sembrava โmeschinoโ rivolgersi a Dio solo nel momento del bisogno.
Questa risposta mi ha dato tanto da pensare. Innanzitutto per l’arroganza che implica. Come si puรฒ cercare di accampare una qualche โdignitร โ nei confronti di Dio? Ma se non immaginiamo Dioโche ci crediamo o noโcome l’Essere che ci trascende in modo incommensurabile, di che Dio stiamo parlando? E quindi quale dignitร pensiamo di poter avere nei suoi confronti? Quando ci rivolgiamo a Lui, per qualunque cosa e in qualunque forma e qualunque sia la nostra situazione di fede e di pratica religiosa, siamo comunque โmeschiniโ.
Ma poi, se il Dio del quale stiamo parlando รจ amore, allora non puรฒ che piacergli molto sentirsi chiedere aiuto, proprio come a un padre piace sentirsi chiedere qualcosa da un figlio. Ma non perchรฉ chiedere รจ un atto di sottomissione, ma perchรฉ chiedere รจ giร in sรฉ un atto di fiducia. Ed รจ proprio questo Suo piacere di essere invocato che traspare dai ripetuti inviti a chiedere, nella pericope del Vangelo di oggi.
E l’ultimo versetto invita anche noi a provareโproprio come Dio!โil piacere del dare. Il piacere di un dare persino senza esserne richiesti!
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per lโEvangelizzazione e la Catechesi