Medita
In questa pericope avviene l’incontro tra Gesù e Gerusalemme. È difficile per un non ebreo immaginarsi l’attaccamento di un ebreo a questa città, attaccamento viscerale alla Gerusalemme quale città scelta da Dio per farvi risiedere la sua shekinah, la sua presenza permanente in mezzo al suo popolo. È un legame essenziale, che ricorda il contratto nunziale tra lo sposo e la sposa. Gesù aveva detto alla Samaritana: “Viene l’ora in cui né su questo monte, né a Gerusalemme, adorerete il Padre… Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e in verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano” (Gv 4, 21–23).
Ma Gesù, di fronte a Gerusalemme, ha un incontro sconvolgente; piange, non di gioia o di commozione, ma intona un lamento funebre: “Se avessi conosciuto anche tu, in questo giorno, ciò che porta la pace!”. È un pianto di dolore perché il suo popolo non ha compreso, e così il suo futuro è un futuro di guerra, di distruzione, di morte. Il popolo di Gerusalemme lo ha appena acclamato il “re che viene nel nome del Signore!”, ma la sua accoglienza è legata all’immagine che la folla ha di Gesù, un re politico, che lo libererà dalla dominazione romana. Gesù piange su questo equivoco, che durerà a lungo, e tutt’ora affascina molti cristiani che rincorrono la gloria, il riconoscimento, la vittoria, la forza, il potere.
Gesù piange su ciascuno di noi, che non abbiamo conosciuto la via della pace, e ci ostiniamo in una cecità che porta solo distruzione, odio e morte. “Il senso della salita di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme riflette la logica stessa della strategia di salvezza di Dio, che sconvolge il nostro modo di pensare e di vedere. Il pianto finale di Gesù ci rivela quanto la nostra logica ordinaria è diversa da quella di Dio: noi pensiamo guerra laddove parla di pace; noi pensiamo gloria quando parla di povertà; noi vediamo la forza quando pensa umiltà” (Daniel Attinger). È solo in una nostra conversione alla logica di Cristo che possiamo riconoscere il tempo in cui siamo stati visitati e dare senso alle lacrime di Gesù.
Preghiera finale
Padre buono,
Gesù tuo Figlio
si è sottomesso all’obbedienza
per liberarci da ogni peccato
e ristabilirci nella tua alleanza.
Liberaci dall’amore di noi stessi,
affinché respiriamo
nell’esteso spazio della misericordia
e possiamo riconoscerci in alleanza
con i fratelli e le sorelle:
allora sperimenteremo la pace
che deriva dalla sottomissione reciproca.
Esaudiscici, Amore vivente ora e nei secoli dei secoli.
AUTORE: Consiglio Diocesano di Azione Cattolica di Pisa, Cristina Martinelli, Chiara Martinelli
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi