Arcidiocesi di Pisa – Commento al Vangelo del 19 Febbraio 2022

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Il primo brano del capitolo nove del vangelo di Marco ci offre una scena al tempo suggestiva e profonda.

Il Maestro, come suo solito, “chiama” a sé alcuni discepoli. È sempre Gesù il protagonista assoluto; lui che sceglie i discepoli, lui che decide dove portarli e, come si trova nei Vangeli, ne individua alcuni come testimoni di grandi eventi. Tra questi, la trasfigurazione del Nazareno, è molto ricca e stimolante per ogni meditazione. Mentre nelle pericopi precedenti abbiamo letto una difficoltà a riconoscere la Luce del Verbo incarnato come guida unica per intraprendere il cammino verso il Regno, ora ai tre discepoli appare una luce abbagliante. Dall’oscurità o dalla nebbia, improvvisamente l’Emmanuele impone loro una esperienza che potremmo definire quasi un eccesso di luce.

Sono abbagliati, anche ora, pur partecipandone, si limitano alla superficie, a guardare senza vedere cosa significhi quello che accade. Pietro è il portavoce della comunità intera e quindi anche dei tre discepoli presenti. Pietro “non sa cosa dire”: ha ragione. Cosa poteva dire se non manifestare un senso di bellezza? Troppa luce! Chissà quali pensieri potevano attraversare il tre discepoli.

L’apparizione di Elia, che rappresenta i profeti, e di Mosè, che rappresenta la Legge aiutano a comprendere che la persona del Figlio di Dio, nato a Betlemme, è un evento eccezionale ma radicato nella Parola.
Esso si pone in continuità con la storia di salvezza narrata nel Primo Testamento e che, purtroppo, (come si registra nella dura controversia contro i farisei) offuscata se non smarrita da chi ha fatto prevalere la fragilità umana sulla misericordia divina. Uno dei tratti più significativi è l’appellativo che il Galileo attribuisce a sé stesso. “Figlio dell’uomo” è una figura presente nell’Antico Testamento e che rimanda a chi si fa uomo pur essendo Dio.

Troppa luce: sarà lo Spirito Santo che aiuterà la giovane comunità a comprendere il significato delle parole. La terza Persona della Santissima Trinità che ci accompagna nel pellegrinaggio terreno.

Per riflettere

In quel contesto quasi paradisiaco, il Signore spiega a Pietro, e con lui a tutti noi, che la méta da raggiungere cui tutti aspiriamo è segnata dalla morte. Che non è mai l’ultima parola. La Parola che ha preso carne umana ci insegna che la sofferenza e il dolore saranno vinti, che non saremo mai soli nei momenti più difficili. Che vivremo la vita vera.


AUTORI: I commenti di questo mese sono curati da Massimo Salani
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi