Oggi si ricorda la dedicazione delle basiliche dei santi Pietro e Paolo. Due luoghi che evocano la grandezza e l’alterità di Dio, ma anche la sua vicinanza e presenza nella storia, la diversità fra esperienze di vita e culture, ma anche la fraternità dei figli dello stesso Padre.
Quello che oggi noi proviamo andando a Roma da pellegrini lo provava certamente Gesù nelle sue ripetute salite al Tempio di Gerusalemme, il luogo dove, forse per la prima volta, aveva potuto “occuparsi delle cose del Padre suo”, ascoltando e interrogando i maestri della legge.
Nel breve brano che abbiamo letto lo sguardo dell’uomo che arriva a Gerusalemme al termine di lunghe peregrinazioni dense di incontri, scontri, predicazione e miracoli non è più quello incantato del preadolescente, che si affida alla sapienza del Tempio per capire le cose del Padre, ma è quello del Figlio che ha compreso quanto nel Tempio possano convivere santità di Dio e peccaminosità.
Scaccia i venditori, citando un brano di Isaia (“Li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saliranno graditi sul mio altare, perché il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli”, Is 56, 7). È interessante notare che chi si irrita per questa azione non sono i venditori di agnelli e colombe, quanto piuttosto i capi dei sacerdoti e gli scribi, cioè il potere religioso.
La religione può essere utilizzata come oggetto di autorealizzazione, di arricchimento, di manipolazione della libertà altrui. Segni religiosi sono sempre stati usati dalla politica per i fini più diversi. Per entrare nel tempio di Dio occorrono mani innocenti e cuore puro.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
I commenti di questo mese sono curati da Luisa Prodi