Il servo aveva ottenuto tutto: il debito che lo separava dal suo re era stato cancellato, la magnanimità lo aveva fatto risorgere dalla prigione, gli erano stati restituiti la dignità e i beni, poteva ancora amministrarli nell’intima vicinanza con il suo re. Eppure, non appaiono in lui la gratitudine, la consolazione e la pace: una scorza sul cuore gli impedisce di lasciarsi raggiungere dalla misericordia del re. Troppo grande, stupefacente, incredibile quell’amore, e così rispettoso della sua libertà al punto di lasciare che si rinchiudesse nel suo orgoglio incapace di accogliere la gratuità del condono.
Come accade a noi, che, pur rivolgendoci a Dio, lo consideriamo uno strozzino che può solo dilazionare i tempi della restituzione: lo conosciamo attraverso la carne, e proiettiamo su di Lui l’immagine che abbiamo dell’uomo e della giustizia mondana. Per questo siamo preoccupati di quello che dovremmo fare per estinguere il debito, illusi e sedotti dall’inganno “originale” d’essere diventati come dio, nella superba certezza di poterlo trattare da pari a pari e di saper raccogliere una fortuna quale la sua; ma ci ritroviamo stretti nel moralismo e nel legalismo che ci soffocano l’anima.
La parabola, infatti, ci illumina su quale sia il vero obiettivo di Satana: il peccato concreto è solo uno strumento con il quale egli cerca di inchiodarci alla disperazione cieca sull’amore infinito di Dio. Sollecita l’orgoglio perché, ferito dal fallimento, ci spinga nell’abisso di violenza, odio ed esigenza che cancella la speranza, la fede e la carità dal cuore, anticipo dell’inferno al quale vuole condurci. (Parrocchia San Vitale Martire, Napoli)
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Per riflettere
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FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi