Se davvero il paralitico volesse immergersi nella piscina potrebbe cercare aiuto in quel giovane uomo che in mezzo alla folla di infermi, ciechi, zoppi e paralitici sembra proprio dirigersi verso di lui e pare ben disposto. Potrebbe mettersi d’accordo per farsi calare in acqua al momento opportuno e sperare nella guarigione.
Ma non lo fa.
È Gesù che prende l’iniziativa e chiede “Vuoi guarire?”, una domanda breve e secca, a cui segue una risposta poco convinta. Tutto sommato al paralitico non dispiace cullarsi nella sua autocommiserazione, sentirsi vittima di una situazione che si trascina da un tempo lunghissimo e nella quale non ha trovato alcuna solidarietà umana. La paralisi dei suoi arti racconta di una paralisi spirituale, un’accidia del cuore, che gli impedisce ogni cambiamento di vita. Gesù prende ancora l’iniziativa e lo guarisce, ma non gli dice solo di alzarsi, gli chiede invece di portare con sé la barella su cui è stato in tutti questi anni. Alzarsi è il primo gesto che il paralitico compie dopo anni di passività, una vera e propria resurrezione.
Per quale motivo il paralitico guarito deve portarsi dietro una cosa che non serve più? Perché quella barella ricorda una storia di fragilità, che non deve essere dimenticata adesso che cammina con le sue gambe. Fra l’altro la barella è anche la causa della prima seccatura della vita da risanato: dover rendere conto ai farisei di un trasporto barella in giorno di sabato. Uscirà da questa situazione spiacevole addossando ogni responsabilità (anche quella della guarigione) a Gesù, e accendendo contro di lui l’ira dei Giudei che cominciano a perseguitarlo e a cercare di ucciderlo. La guarigione degli arti è avvenuta, la guarigione del cuore ha bisogno di un tempo più lungo.
Per riflettere
Non è simpatico questo paralitico risanato, si è rialzato fisicamente, ma qualcosa di paralizzato rimane nel suo intimo. Questo può accadere a ciascuno di noi nella nostra vita spirituale. Qual è la barella che ci aiuta a ricordare il nostro peccato e la nostra fragilità?
Preghiera finale
O Signore,
che continuamente c’incitasti a star svegli,
a scrutare l’aurora,
a tenere i calzari e non le pantofole,
fa’ che non ci appisoliamo sulle nostre poltrone,
nei nostri anfratti, nelle culle in cui ci dondola
questo mondo di pezza,
ma siamo sempre attenti a percepire
il mormorio della tua Voce,
che continuamente passa
tra fronde della vita
a portare frescura e novità.
Fa’ che la nostra sonnolenza
non divenga giaciglio di morte
e—caso mai—dacci Tu un calcio
per star desti e ripartire sempre.
(Madeleine Delbrêl)
AUTORE: Consiglio Diocesano di Azione Cattolica di Pisa, Beatrice Granaroli
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi