Cafarnao, Betsaida, Corazin: sono i nostri nomi, perché in fondo noi siamo superbi. La predicazione, i miracoli, quante volte ci hanno scaldato, emozionato, per poi essere dimenticati. Sodoma e Gomorra non potevano accogliere lo straniero perché turbava i loro standard, che erano quelli del peccato, del peccato impuro contro natura. F
orse non giungiamo a chissà quali nefandezze, ma il principio è lo stesso: difendiamo quello che desideriamo fare, inzuppandolo nella melassa della libertà. Magari le ferite del nostro peccato sanguinassero davvero dilaniandoci dal dolore!
Spalancheremmo le porte al medico capace di curarci. L’arroganza, l’assolutezza nei giudizi, l’incapacità di amare e accogliere il prossimo così com’è sono i frutti perversi della chiusura alla Grazia e anestetizzano il nostro cuore. Sono frutto di un’affezione subdola al male dal quale non riusciamo e non vogliamo allontanarci.
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Il Cardinale Joseph Ratzinger, futuro Benedetto XVI, scrisse: “Dell’immagine di Dio e di Gesù, alla fine, non ammettiamo forse soltanto l’aspetto dolce e amorevole, mentre abbiamo tranquillamente cancellato l’aspetto del giudizio? Come potrà Dio fare un dramma della nostra debolezza?—pensiamo. Ma guardando alle sofferenze del Figlio vediamo tutta la serietà del peccato, vediamo come debba essere espiato fino alla fine per poter essere superato.
Il male non può continuare a essere banalizzato di fronte all’immagine del Signore che soffre”. Che fare quindi? Pentirsi, convertirsi, accogliere, oggi, di nuovo, l’amore e il perdono, la misericordia infinita del Signore che ancora una volta oggi vuole ridonarci la purezza perduta, vuole ricrearci per una nuova vita.
Basta solo aprire una fessura, anche di qualche millimetro, che lasci filtrare un piccolissimo fascio di luce della grazia di Nostro Signore. Come nella città citate nel Vangelo di oggi, tanti miracoli sono stati compiuti nella nostra vita, il primo è questo respiro che ci tiene in vita in questo istante. Chiediamo a Dio la Grazia di non assuefarci mai al suo amore: che cosa abbiamo fatto per meritare tutto quello che abbiamo? Nulla, se non credere alla menzogna con la quale il demonio ha ridipinto e stravolto i segni dell’amore di Dio, inducendoci a pensare che fossero segni della Sua ingiustizia.
Per riflettere
Il Signore ci avverte del pericolo in cui noi stessi siamo. Ci mostra la serietà del peccato e la serietà del giudizio. Non siamo forse, nonostante tutte le nostre parole di sgomento di fronte al male e alle sofferenze degli innocenti, troppo inclini a banalizzare il mistero del male? Ma guardando alle sofferenze del Figlio vediamo tutta la serietà del peccato, vediamo come debba essere espiato fino alla fine per poter essere superato. Il male non può continuare a essere banalizzato di fronte all’immagine del Signore che soffre. (Cardinal Joseph Ratzinger)
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi