C’è una logica “mondana”, propria dell’essere umano, che è quella del “vedere per credere”; lo stesso modo di pensare che farà dire all’apostolo Tommaso: “Se non vedo… io non credo” (Gv 20, 25), quasi fosse uno scambio di favori: Tu mostraci un segno come ai nostri Padri fu dato da Mosè con la manna dal cielo e noi legittimeremo la tua autorità come fu per Mosè!
Gesù non accetta questa logica, anzi la rovescia: credere per vedere! Dirà, infatti, a Marta: “Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?” (Gv 11, 40) e a Tommaso: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20, 29).
È la fede che consente di trascendere dal dono al donatore vero: “Non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio”; e, nel prosieguo della risposta, Gesù coglie l’occasione per qualificarsi e ribadire la sua identità come Figlio (non come Profeta o Rabbi), dicendo non “Dio” ma “il Padre mio”, attualizzando la stessa azione donatrice del Padre che non ha un passato ma un oggi: non “diede” ma “dà il pane dal cielo, quello vero”.
- Pubblicità -
E aggiunge la rivelazione che questo pane è Cristo stesso: “Io sono il pane della vita” e l’esortazione a nutrirsi di questo pane, perché chi avrà fede in Lui “non avrà sete, mai!”.
Per riflettere
Abbiamo sempre bisogno di segni della presenza di Dio, chiediamo sempre miracoli e apparizioni. Abbiamo una fede fragile, lunatica, scostante, altalenante. Invece di fidarci delle Parole del Signore, di imparare a leggere i tanti segni della sua presenza (anche oggi la nostra giornata è riempita di piccoli miracoli quotidiani…) corriamo dietro agli eventi straordinari che solleticano l’emozione senza convertire il cuore.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi