La bassa statuta di Zaccheo può essere pensata non solo in senso fisico, ma come connotazione morale. I soldi che ha fatto come pubblicano e capo dei pubblicani probabilmente non lo mettono in cima alla classifica di gradimento dei suoi concittadini; per questo, pur desiderando di vedere Gesù, non si mescola alla folla e sale sul sicomoro.
È una posizione che permette di vedere senza essere visto, di farsi un’idea delle cose restandone a distanza, perché rimane comunque il dislivello fra l’altezza degli occhi di Zaccheo e l’altezza degli occhi di Gesù. Ma Gesù ha la capacità di riconoscere le persone dentro le folle, e quando arriva vicino al sicomoro alza lo sguardo e pronuncia un nome.
Tutti si accorgono dell’omino sull’albero, chissà che commenti taglienti da parte della gente… Zaccheo non ci fa caso, è iniziata una vita nuova: Gesù si è invitato nella sua casa, cioè è entrato nell’intimità della sua vita. Tutto cambia, parte una conversione profonda, che si manifesta nella restituzione di quanto è stato rubato, con una misura ampiamente superiore agli standard di legge.
Gesù chiama Zaccheo figlio di Abramo. La grandezza di Abramo è l’incondizionata fede in Dio. Gesù ci vuol far capire che ciò che dona salvezza è avere fede, le opere di conversione non sono altro che la conseguenza della vita nuova in Cristo.
È bello pensare al sicomoro, ignaro strumento di incontro fra Zaccheo e il Signore. Non ha fatto niente di particolare, non era presente al pranzo e ha assistito solo in parte alla scena della conversione. Semplicemente era lì, al suo posto, e lì è rimasto, con le radici ben piantate in terra e i rami larghi e robusti per sorreggere l’uomo in ricerca. Non dovrebbe essere questa la postura di ogni cristiano?
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
I commenti di questo mese sono curati da Luisa Prodi