Giovanni mette il fatto vicino alla festa della Pasqua dei Giudei, suggerendo il confronto tra l’antica Pasqua dell’Esodo e la nuova Pasqua che avviene in Gesù. Non a caso nei versetti immediatamente precedenti viene citato Mosè, alle azioni del quale Giovanni fa corrispondere quelle di Gesù.
L’attraversamento del Mare di Tiberiade come il Mar Rosso, la salita sulla montagna, il grande seguito di folla per i segnali dati. E tra questi quello di ottenere cibo per la gente affamata, come in questo episodio.
Ma c’è una differenza: i segnali dati da Mosè nascevano tutti da un rapporto che potremmo definire “istituzionale” tra lui e il Signore, mentre il popolo ci metteva tutt’al più qualche lamentela. Con Gesù, invece, gli apostoli restano praticamente esclusi dalla vicenda: Filippo oppone subito uno scetticismo pregiudiziale, mentre Andrea, che almeno si era dato da fare per una ricerca, parla con sufficienza di un “ragazzo”.
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A questa qualifica riduttiva corrisponde effettivamente la povertà di quanto ha con sé: cinque pani e due pesci, la sua schiscetta! Che ci si può fare per cinquemila persone? Ma questo “ragazzo”, invece di nascondere quel poco che ha, lo mette a disposizione, rischiando di rimanere a digiuno senza aver risolto alcun problema.
Ed ecco che la sua disponibilità a condividere diventa moltiplicazione! Senza la sua disponibilità forse le cinquemila persone non avrebbero mangiato e la maggior parte se ne sarebbe andata, abbandonando la sequela di Gesù.
Per riflettere
Come mi comporto davanti al problema della fame nel mondo: come Filippo, come Andrea o come il ragazzo? Abbiamo il coraggio di offrire i nostri «cinque pani d’orzo e due pesci», anche se ci sembrano poche cose, convinti che possano diventare gioia condivisa per tutti? La gente voleva un messia che fosse re forte e potente. Oggi, molti vanno dietro a leader che promettono solo benefici. Cosa ci dice in proposito il vangelo di oggi?
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi