«Darai la tua vita per me?». È questo un passo del Vangelo di Giovanni che riporta alcuni dei momenti più intensi e duri vissuti da Gesù, quelli in cui non si sente più al sicuro nemmeno tra i suoi amici e discepoli, coloro che dicevano di amarlo più di tutti. Come detto in precedenza, anche questo male era forse inevitabile nel disegno della morte e resurrezione, eppure non smette di essere profondamente incomprensibile e scandaloso, nell’ottica della sofferenza procurata ad un giusto e ad un amico.
Potremmo dire che, anche in questo caso, nella nostra esperienza in egual misura sono stati i momenti più provanti come questi ad essere quelli più decisivi; è possibile che grazie ad essi nella nostra vita si facesse largo il bene e germogliasse nella sua fecondità. D’altra parte, possiamo cogliere l’occasione di leggere il brano in una maniera ancora ulteriore, aggiungendo un altro tassello.
Non solo il male può essere ricondotto nell’economia di un disegno salvifico più complessivo, ma può essere considerato anche per il suo carattere non definitivo: il peccato, l’errore, la rassegnazione sono tutti stadi dai quali ci si può riscattare; il male non è detto che sia per sempre. C’è la possibilità di trasformare uno sbaglio nel gradino di partenza per tornare o fare il bene. Bisogna essere onesti con se stessi e guardarsi con lo sguardo che Gesù rivolge a Pietro, sapendo già che lo tradirà, prima ancora che accada.
Il tradimento è ricompreso nell’ottica dell’amore; quel che conta non è che Pietro lo rinnegherà, ma che piangendo si accorgerà di aver ferito l’amico che più ama. Proprio quello strappo sarà poi premessa ad un legame saldo, che non si dissolverà mai più. Il primo passo per tornare al bene, dunque, è proprio quello di non condannarsi senza appelli.
AUTORI: I commenti di questo mese sono curati da Beatrice Granaroli
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi