Essere con il Signore vuol dire essere nella gioia. Vuol dire fare affidamento a qualcosa che intimamente ci consola e ci colma di bene. Anche quando la situazione sembra essere la più dura, quando le difficoltà legate alla nostra condizione finita si manifestano, il Signore rimane un punto fermo, l’affidarsi ad un principio più grande e al di sopra di qualsiasi impedimento terreno.
Al Signore, tuttavia, non ci rivolgiamo esclusivamente per trovare pace, non guardiamo all’esperienza del Cristo per vivere una superficiale serenità. La gioia che deriva dall’incontro con la persona di Gesù, con la figura di un Dio che è Padre, passa attraverso il travaglio della vita, la prova dell’esistenza.
«Ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla» ci dice il brano di oggi e ci ispira a non ritenerci completi nella nostra finitezza solo umana; alza il nostro sguardo ad una profonda e sincera compiutezza dei nostri giorni.
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Questo è essere parte del progetto di Dio, tassello del mosaico della Sua storia. Vivere da figli vuol dire, allora, credere ad una promessa di bene, pur nella vessazione, nella prova, nell’affanno. Porsi in questa prospettiva è già l’inizio della realizzazione su questa terra di un Regno promesso e di una letizia perfetta.
Per riflettere
Mi ritengo figlio o orfano di un Dio che è Padre? Chiediamoci oggi se questo sguardo rivolto ad una promessa di bene porti già la chiarezza nelle nostre vite o se ancora scegliamo di vivere nel dolore, prigionieri di uno sguardo senza prospettive di salvezza.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi