I discepoli sono pieni di stupore, stanno scendendo dal Monte Tabor dove sono stati testimoni della trasfigurazione. Sanno che Gesù è figlio di Dio e chiedono di Elìa che lo doveva precedere.
Ricordiamo questa profezia dagli ultimi versi dell’Antico Testamento: “Ecco, io invierò il profeta Elìa prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri, perché io, venendo, non colpisca la terra con lo sterminio”.
I discepoli conoscono le Scritture e sanno di Giovanni Battista, eppure non notano la profezia che si compie davanti ai loro occhi. Avevano ragione a dire che Elìa doveva venire. Avevano una buona conoscenza delle Scritture, ma questa conoscenza era sterile, perché non hanno riconosciuto Elìa quando è venuto.
La conoscenza è necessaria, ma non sufficiente. Incontra Dio chi è pronto a “ristabilire ogni cosa” nella propria vita, cioè a trasformarsi internamente a sua immagine e somiglianza. La conoscenza è importante, ma ancora più importante è l’esperienza dell’amore trasformante di Dio.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi
Il commento di oggi è proposto dal Centro Diocesano per le Vocazioni di Pisa