Commento a Gv 10, 11-18
Nel brano di oggi Gesù parla di sé come buon Pastore o, come alcuni traducono, come pastore bello. Possiamo contemplare questa bellezza, meditando sulla tre dimensioni che emergono dalle parole di Gesù.
La prima dimensione ci mostra che la cura di cui è capace il Pastore non è funzionale al proprio interesse, come nel caso del mercenario, ma è la misura dell’amore per il gregge che gli è stato affidato. Un amore talmente grande da “dare la vita per le proprie pecore”.
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La seconda riguarda la relazione personale del Pastore con ciascun membro del suo gregge: “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”, conoscenza che rappresenta la strada per arrivare al Padre. Si tratta di un amore inclusivo (“Un solo gregge, un solo pastore”) che oltrepassa i recinti in cui ci rinchiudiamo o che utilizziamo per escludere gli altri.
L’ultima dimensione è quella filiale: Gesù è consapevole di essere amato dal Padre e, nella cornice di questo Amore, è capace di dare liberamente la propria vita, per riprenderla di nuovo. Anche noi, prendendo Lui come modello, possiamo sperimentare che è proprio nella pienezza del dono di sé, che si dà e si riceve la vita. Gesù—che qui sta parlando ai capi religiosi e si contrappone al loro modo di esercitare il potere sul popolo—afferma che questo modo di amare è l’unico comando che ha ricevuto dal Padre. E sarà l’unico comando che ci lascia: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.
Per riflettere
Qual è il Pastore che segui? Qual è il modello di vita che ti proponi? Quale comando guida la relazioni di potere che vivi nella tua quotidianità?
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi