Volare!
Un desiderio, forse, che tutti abbiamo avuto da piccoli e che in questi giorni accresce. Le fredde righe dei fatti di cronaca, oltre a mostrare i numeri dei contagi per il virus, presentano racconti di uomini che hanno davvero “scelto di volare”. Come aquile si sono esposti nei punti più alti dei palazzi, per poi lasciarsi precipitare nel vuoto. L’aquila, un uccello glorioso, dai molteplici significati, diventa fin da subito immagine di potenza e fierezza. Se l’impero Romano la usò come suo emblema, i primi cristiani la mutarono in un simbolo teologico. Forse un po’ tutti abbiamo dinanzi ai nostri occhi il volo di un’aquila che porta con sé i suoi piccoli, stretti nelle zampe, si spinge verso il sole per insegnare loro a fissarlo senza provare fastidio. In questo volo, la Bibbia ne ha visto la figura di Dio, che come aquila che libra in alto, si prende cura del suo popolo: «Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me» (Es 19, 4). La tenerezza di Dio è «pari all’aquila che desta la sua nidiata, si libra a volo sopra i suoi piccini spiega le sue ali, li prende e li porta sulle penne» (Dt 32,11).
Se nei Salmi, l’aquila è simbolo di giovinezza eterna: «si rinnova come aquila la tua giovinezza» (Sal 103,5); in Isaia è figura di chi acquista forza, perché fedele ai sentieri di Dio: «i giovani scelti vacillano e cadono, ma quelli che sperano nell’Eterno acquistano nuove forze, s’alzano a volo come aquile; corrono e non si stancano, camminano e non s’affaticano» (Is 40,31). Ma attenzione, non è tutt’oro ciò che luccica: il rapace, talvolta, può assumere caratteristiche negative. Simbolo di crudeltà, orgoglio e potere perverso, diventa figura intimidatoria: «Guardai, e udii un’aquila che volava in mezzo al cielo e diceva a gran voce: “Guai, guai, guai agli abitanti della terra, a causa degli altri suoni di tromba che tre angeli stanno per suonare!”» (Ap 8,13). Il suo verso è richiamo per il popolo infedele: «Da’ fiato alla tromba! Come un’aquila sulla casa del Signore, perché hanno trasgredito la mia alleanza e rigettato la mia legge» (Os 8,1).
L’iconografia cristiana l’ha resa simbolo dell’Evangelista Giovanni, perché come si credeva che l’aquila potesse fissare il sole, anche lui nel suo Vangelo fissò la profondità Divina: «l’Evangelista – paragonato tradizionalmente ad un’aquila – si eleva al di sopra della storia umana scrutando le profondità di Dio; ma ben presto, seguendo il suo Maestro, ritorna alla dimensione terrena dicendo: “E il Verbo si fece carne”» (Papa Benedetto XVI). Nella dinamica dell’incarnazione si comprende un’altra e significativa simbologia che lega l’aquila a Cristo: «L’aquila si comprende come quella del Cristo che, con il suo volo, è sceso in terra. Questo genere di animale non riceve cibo prima che la castità di sua madre sia dimostrata quando con gli occhi aperti, senza battere le ciglia, può contemplare il sole.
È dunque a giusto titolo che questo animale è paragonato al Salvatore perché, quando vuole catturare qualche essere, non calpesta il suolo, ma elegge un luogo elevato: così il Cristo, sospeso all’alta croce, in un fracasso terribile e in un volo tonante prende d’assalto gli inferi e porta via verso i cieli i santi che ha afferrato» (Sant’Ambrogio). Usiamo questo tempo di silenzio per imparare a fare la stessa esperienza dell’aquila; quando «invecchia le si appesantiscono gli occhi, e la vista le si offusca. Che cosa fa allora. Cerca una fonte d’acqua pura, e vola su nel cielo del sole, e brucia le sue vecchie ali e la caligine dei suoi occhi, e scende nella fonte, e vi si immerge tre volte, e così si rinnova e ridiventa giovane» (Physiologu).
A cura di don Bartolomeo de Filippis – Su Facebook
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