Una statistica BVA Doxa afferma che, in Italia, ogni anno dal 2014 ad oggi, la percentuale di atei ed agnostici in Italia sale dell’1%. Di questo passo, tra 10 anni il numero dei non credenti supererà quello dei credenti. La tendenza non riguarda solo l’Italia, ma più in generale tutto il mondo “occidentale” si sta riscoprendo sempre più spesso senza Dio: la laicissima Francia detiene il primato dei non religiosi, che già da tempo superano il numero di chi crede; seguono a stretta ruota Regno Unito e Germania. Il numero degli atei cresce anche in Nord America, Asia e Oceania, mentre un forte senso religioso continua a resistere in America Latina ed Africa.
Il fenomeno inquieta e interroga profondamente: perché ci sono tanti che si definiscono atei nel mondo? L’uomo sta perdendo Dio? Alcuni sostengono che sia la scienza a sottrarre fedeli alle religioni, ma, come ho evidenziato nel mio ultimo libro, non è affatto così: al contrario sono sempre di più gli scienziati che, proprio attraverso le loro ricerche, scoprono “un loro modo” di credere in Dio: la perfezione dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, l’armonia del cosmo e delle particelle subatomiche è talmente sorprendente da suggerire l’esistenza di un’entità superiore che ha codificato le regole che il mondo fisico segue. Medici, fisici, astronomi, avvertono la sete di Dio e si mettono in ricerca. Allora perché sale il numero di chi si professa lontano dalla religione?
Spesso si tratta di “disinformazione”. L’insegnamento della religione è carente e si diffondono false idee su una Chiesa poco credibile, perché troppo legata al denaro ed alle ricchezze materiali. Una falsa percezione vorrebbe poi la religione legata soltanto a limitazioni dell’agire dell’uomo (i comandamenti impositivi, il giudizio morale…). In conclusione sempre più giovani si allontanano da Dio e rinunciano a professare una religione, forse deviati da una visione eccessivamente materialista della vita.
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Stiamo diventando tutti “narcisi”. I social network, la stessa società che ci circonda ci spinge a mettere sempre più al centro delle nostre vite l’”io” e, per questo, finiamo per dimenticare “Dio”. Non c’è più posto per Lui in un mondo dove l’immagine di sé diventa predominante e si perde il senso della gratuità, dell’aiuto, della condivisione, dell’ascolto.
Forse quanto ci sta accadendo è inevitabile. San Paolo ci avvisava già duemila anni fa: “Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio” (2Tessalonicesi 2,3-4). Il nostro “ego” smisurato sta prendendo il posto di Dio e, ahimè, questa previsione si sta avverando. Probabilmente ci stiamo avvicinando alla fine dei tempi, pur non sapendo quanto questa sia effettivamente vicina (anni, decenni, secoli o millenni?). “Quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Matteo 24,36).
La storia si ripete. Duemila anni fa come ora: non gli credettero. Non gli crediamo. Eppure Dio ha fatto di tutto per farcelo capire. Si è fatto Uomo; ha camminato in mezzo a noi; ci ha guariti: ha fatto camminare paralitici, restituito la vista ai ciechi, l’udito ai sordi; ci ha liberati dai demoni; ha moltiplicato il nostro cibo per nutrirci; ha risuscitato defunti, infine, proprio quando tutti lo avevano tradito ed abbandonato, è risuscitato Egli stesso. Ma ancora non ci basta. Ancora non ci convince.
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Cristo appare a Maria di Magdala, che corre ad annunciarlo ai discepoli, ma questi non le credono. Non credettero neppure ai due discepoli di Emmaus, che raccontarono di aver cenato con Cristo Risorto. Qualcuno non crederà neppure nel vedere le ferite lasciate dai chiodi.
Eppure, in mezzo a tutta questa incredulità, Gesù non demorde e non smette di sognare. Egli ci invita a credere e continua ad esortarci a diventare noi stessi pagine viventi di Vangelo. Ce lo chiede oggi come lo chiedeva agli apostoli ai quali si manifestò dopo la Risurrezione: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo”. È un imperativo che Gesù ci consegna nel momento del suo commiato. Cristo, che si è fatto Uomo, prima di tornare in cielo come Dio, ci affida un compito importante: testimoniare la Verità!
E dunque noi dobbiamo raccogliere questo invito pressante e farlo nostro. Ma in che modo? Nel modo più naturale: facendo entrare la Parola dentro le nostre vite. Non lasciamo il Vangelo tra i libri! Noi dobbiamo cibarci di Vangelo, bere il Vangelo, respirare il Vangelo. E così, la Parola dovrà diventare una parte di noi. Ogni nostro gesto quotidiano, dal lavoro, all’educazione, al modo di rapportarci con gli altri, ogni decisione che prenderemo, dovrà riflettere i valori del Vangelo. L’amore, il perdono, l’apertura verso il prossimo… dovremo diventare noi stessi pagine viventi di Vangelo. Soltanto così riusciremo a rispondere a quell’imperativo di Gesù, pronunciato in modo così urgente nel momento della sua Risurrezione.
Fonte: La Buona Parola, il blog di Alessandro Ginotta https://www.labuonaparola.it
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