Dio ancora una volta ci sorprende. Una prolungata siccità causa una terribile carestia. Una vedova straniera, che aveva perso tutto, viene scelta da Dio per nutrire (senza provviste) un profeta affamato. Due disperati, privi di tutto fuorché di fede, sono i protagonisti di una eclatante catena di miracoli.
Moltiplicazioni, risurrezioni e sfide apparentemente impossibili. Un po’ rocambolesche, mirabili e sorprendenti sono le imprese di questi due profeti legati da profonda amicizia (e da un mantello): Elia ed Eliseo. Perché due uomini vissuti quasi nove secoli prima di Gesù dovrebbero essere importanti per noi? Scopriamolo insieme:
Sapevi che Elia ed Eliseo (IX-VIII secolo a.C.) compirono entrambi miracoli e prodigi eclatanti? Elia, prima ancora di Gesù, moltiplicò olio e farina (cfr. 1Re 17,14) e risuscitò il figlio della vedova di Sarepta (cfr. 1Re 17,22). Entrambi divisero le acque del Giordano (cfr. 2R 2:1-8 e 2Re 2,14), Eliseo guarì Naaman il siro dalla lebbra (2 Re 5:14–15). Ma per farti capire quanto le loro storie siano ancora più ricche di eventi eclatanti ed inconsueti posso aggiungere che Elia non morì mai! Sì, è proprio così: venne assunto in cielo in un turbine di vento, trasportato su un carro di fuoco trainato da cavalli anch’essi di fuoco (2 Re 2,11), mentre lasciava cadere il suo mantello sulle spalle di Eliseo, un po’ come se avesse voluto certificarne la successione.
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Sappiamo che Elia tornerà sulla terra, poco prima del Giorno del Giudizio: verrà inviato per preparare i cuori degli uomini ad affrontare questo giorno. Di lui il profeta Malachia scrive: «Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno del Signore, giorno grande e terribile. Egli volgerà il cuore dei padri verso i figli, e il cuore dei figli verso i padri, perché io non debba venire a colpire il paese di stermini» (Malachia 4,4-5). In virtù di questa profezia molti ebrei, nei loro rituali, lasciano una sedia vuota a tavola in anticipazione del ritorno di Elia per annunciare quello del Messia. Il rabbino Moses ben Jacob Cordovero (1522-1570), uno degli sviluppatori della Cabala, sostiene che Elia, dopo essere stato trasportato in cielo, si sarebbe addirittura trasformato in un Arcangelo.
I Vangeli ci presentano Elia sul monte Tabor, nel giorno della Trasfigurazione del Signore (cfr. Matteo 17,1-8; Marco 9,2-8 e Luca 9,28-36), ma in altri passi, come quello che commentiamo oggi, incontriamo la sua presenza discreta e molti ed affascinanti sono i racconti delle imprese di Elia e del suo discepolo Eliseo che possiamo trovare nell’Antico Testamento. In alcuni dei miei commenti nei mesi scorsi ti ho già anticipato parecchi episodi, come la sfida ai 450 profeti di Baal, vinta con un fuoco mistico da un solitario Elia, che dimostrò anche di possedere un acuto senso dell’umorismo, che gli permise di prendersi gioco di avversari numericamente soverchianti. O il poetico incontro con Dio sul monte Oreb (cfr. 1Re 19,9.11-16).
Oggi troviamo Gesù intento a predicare nella sinagoga di Nàzaret. È questo uno dei primi racconti di eventi che riguardano la vita pubblica di Gesù narrati nei Vangeli ed avviene subito dopo le tentazioni nel deserto: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro» (vv. 24-27).
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Dio ancora una volta ci sorprende. Una prolungata siccità causa una terribile carestia. Una vedova straniera, che aveva perso tutto, viene scelta da Dio per nutrire (senza provviste) un profeta affamato. Due disperati, privi di tutto fuorché di fede, sono i protagonisti di una eclatante catena di miracoli. Il Signore ancora una volta sconvolge gli schemi perché a Sarepta, nonostante la siccità, vivevano molte persone benestanti che avrebbero potuto accogliere Elia, eppure Dio sceglie per lui una mamma disperata che sta per perdere il figlio ed ha appena dato fondo alle sue ultime provviste.
Lucida nella sua disperazione, la donna accetta la richiesta del profeta di cuocere per lui una frittella. Una scelta dolorosa, perché in cuor suo aveva deciso di consumare la sua ultima porzione di farina per cucinare sé e per il figlio, consapevole che dopo sarebbero entrambi morti, non avendo altro di cui cibarsi.
Ma Elia ha in serbo un miracolo, se solo la donna gli crederà può fare in modo che olio e farina non finiscano mai. Poiché dice il Signore: «La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra» (1Re 17,14). E così fu. La fede della donna e l’intercessione del profeta sono gli ingredienti del primo miracolo che Dio realizza per questa famiglia. La donna, straniera, povera, ma generosa, insegna a tutti noi come avere fede in Dio.
Così come un altro straniero, Naamàn il siro, ci insegna ad avere fede nel secondo racconto che coinvolge Eliseo (se ti interessa puoi trovare la sua storia qui: https://www.labuonaparola.it/perche-ci-ammaliamo/).
Solo Dio sa scrivere così bene sulle righe storte. E oggi ci insegna a non perdere fiducia e fede, anche quando tutto sembra andare al contrario. Perché perfino quando il buio sembra impenetrabile una scintilla di speranza può riscrivere per noi un futuro di luce: non è mai troppo tardi!
Per gentile concessione di Alessandro Ginotta
Fonte: La Buona Parola, il blog di Alessandro Ginotta https://www.labuonaparola.it/
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