Un Dio che non potremmo capire, scende in mezzo a noi, prendendo sembianze umane per meglio interagire e per evitare che, la paura del soprannaturale, che non capiamo, ci spaventi a tal punto da non riuscire a comunicare con Lui. Un Dio che vuole “accorciare le distanze” tra il cielo e l’uomo. Un Dio che arriverà al punto di incarnarsi in un Bambino, venendo al mondo in una stalla, pur di entrare in relazione con noi.
Sono molti gli episodi narrati nei Vangeli in cui Cristo, risuscitato, appare con un aspetto diverso:
“In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro” (Luca 24,35-43).
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Gesù vuole rassicurare i discepoli: “Quello che vedete sono proprio io! No, non sono un fantasma (qui dovremmo tradurlo come “spirito” o essere spirituale). Cristo infatti si presenta con un corpo. Ma perché non viene riconosciuto?
Dopo la morte e Risurrezione di Gesù, gli apostoli, meravigliati e spaventati, si interrogano su quel corpo che sta davanti ai loro occhi. Alcuni di loro avevano assistito alla frenetica cattura, altri si mescolarono alla folla esagitata durante il processo, uno di loro rimase, insieme a Maria, ai piedi della Croce. Ma tutti, proprio tutti, avevano udito il racconto della sua morte, di come avesse piegato il capo, del terribile colpo di lancia al costato. E poi la deposizione nel Sepolcro, il Telo che avvolse il corpo martoriato, il masso che sigillò l’apertura. Come poteva essere Lui? E’ morto!
“Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?»” (v. 41), Gesù le prova proprio tutte per convincerli! Intenerisce vedere questo lato così umano di Cristo che combatte con un’altra fragilità umana: l’incredulità. Erano troppo pieni di gioia e di stupore per crederci. Ma davvero Gesù non venne riconosciuto soltanto per la troppa felicità?
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Il corpo, l’aspetto, per Dio è uno “strumento” attraverso il quale si mette in relazione con noi. È già difficile concepire il concetto di Dio, figuriamoci se non lo potessimo immaginare con fattezze umane! Dio (in tutte e tre le Persone) si presenta ad Abramo sotto forma di tre viandanti (cfr. Genesi 18:1-5). Nel capitolo successivo, due di questi individui si recheranno anche a Sodoma, dove incontreranno Lot prima della distruzione della città. In quel caso la Bibbia parlerà di angeli (cfr. Genesi 19,1). Il termine utilizzato nel testo ebraico è malakhìm, che significa “inviato”, “angelo” o “messaggero”.
Un Dio che non potremmo capire, scende in mezzo a noi, prendendo sembianze umane per meglio interagire e per evitare che, la paura del soprannaturale, che non capiamo, ci spaventi a tal punto da non riuscire a comunicare con Lui. Un Dio che vuole “accorciare le distanze” tra il cielo e l’uomo. Un Dio che arriverà al punto di incarnarsi in un Bambino, venendo al mondo in una stalla, pur di entrare in relazione con noi.
In questo episodio, il Risorto stabilisce con i suoi discepoli rapporti diretti, attraverso il contatto e la condivisione del pasto. Li invita ad osservare che il suo corpo risuscitato porta i segni della passione. Questo corpo, autentico e reale, possiede però, al tempo stesso, le proprietà nuove di un corpo glorioso: un corpo che non è più situato nello spazio e nel tempo, ma può rendersi presente a suo modo dove e quando vuole, poiché la sua umanità non può più essere trattenuta sulla terra (cfr. Giovanni 20,17). Gesù apparirà nel Cenacolo e poi scomparirà, senza passare attraverso le porte. Si può “materializzare” e “smaterializzare” a piacimento. Dunque, quello di Cristo Risorto, è un corpo e, al tempo stesso, non è un corpo. Un’anticipazione di questo fatto la vedemmo nell’episodio della Trasfigurazione: “Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (Luca 9,29).
Quello che abbiamo davanti oggi è un Gesù che ha “elevato” la sua forma materiale. Si trova “a mezz’aria” tra il cielo e la terra. E’ diverso. E’ un po’ meno uomo ed un po’ più Dio. Forse ci vuole abituare al “distacco”, o meglio alla “trasformazione” del rapporto. Perché Dio è sempre con noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28,20), solo lo è in un’altra forma. Con un’altra modalità.
“La risurrezione di Cristo – spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica – non fu un ritorno alla vita terrena, come lo fu per le risurrezioni che egli aveva compiute prima della pasqua: quelle della figlia di Giairo, del giovane di Naim, di Lazzaro. Questi fatti erano avvenimenti miracolosi, ma le persone miracolate ritrovavano, per il potere di Gesù, una vita terrena « ordinaria ». Ad un certo momento esse sarebbero morte di nuovo. La risurrezione di Cristo è essenzialmente diversa. Nel suo corpo risuscitato egli passa dallo stato di morte ad un’altra vita al di là del tempo e dello spazio. Il corpo di Gesù è, nella risurrezione, colmato della potenza dello Spirito Santo; partecipa alla vita divina nello stato della sua gloria, sì che san Paolo può dire di Cristo che egli è l’uomo celeste” (CCC 646).
Io non credo affatto che il Dio che creò il mondo, che aprì le acque del Mar Rosso per consentire ad una popolazione di salvarsi, che moltiplicò pochi tozzi di pane e qualche pesce permettendo a migliaia di persone di cibarsi, che riportò in vita defunti, che guarì ammalati ed ha compì innumerevoli altri miracoli e prodigi, non fosse in grado di presentarsi con le stesse sembianze di quando era in vita. Io penso che lo avrebbe potuto fare, se solo avesse voluto. Dev’esserci qualche altra spiegazione: Voleva mettere alla prova la nostra fede? Voleva insegnarci a non fermarci alle apparenze?
Sono domande che mi sono posto anch’io e credo di potervi offrire quella che non è certo una risposta universale, ma è la risposta che mi sono dato e che condivido volentieri con voi:
Neanche vedere il Maestro mangiare riuscì a convincere i discepoli. Avevano visto le ferite, avevano udito la voce che per mesi e mesi li aveva rapiti con mille discorsi. Avevano udito le parole di Gesù: “il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati” (vv. 46,47). Eppure niente. Quell’ostinata incredulità non poté essere vinta. Finché Gesù non operò un altro miracolo: “Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture” (v. 45).
E questo fatto ci parla e ci dice che noi non possiamo proprio nulla, senza Gesù. Che abbiamo bisogno di Lui per capire, per crescere, per vivere: “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,5) ci ha detto. Ed è vero. Dobbiamo avere il cuore dei piccoli, dei poveri in spirito, per riconoscere che non siamo autosufficienti, che non possiamo costruire la nostra vita da soli, ma abbiamo bisogno di Dio, abbiamo bisogno di incontrarlo, di ascoltarlo, di parlargli. D’altra parte Gesù aveva detto: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8). È la purezza del cuore che permette di riconoscere il volto di Dio in Gesù Cristo; è avere il cuore semplice come quello dei bambini, senza la presunzione di chi si chiude in se stesso, pensando di non avere bisogno di nessuno, neppure di Dio.
Abbiamo bisogno di Dio per capire Dio. Abbiamo bisogno di Dio per avere un riferimento preciso, uno scopo nella vita. Chi perde la fede perde anche, a poco a poco, la gioia di vivere e, presto o tardi, cade in depressione, perché, come scrive Sant’Agostino: “Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Dio”. Sappiamo che Dio non desiderò conservare gelosamente per sé la sua divinità, ma rinunciò alle comodità dei cieli per incarnarsi in un Bambino e venire a vivere in mezzo a noi. Serve un Dio che si faccia uomo, per far capire all’uomo Dio
Fonte: La Buona Parola, il blog di Alessandro Ginotta https://www.labuonaparola.it/
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