Quante volte rimaniamo fermi nel recinto delle nostre convinzioni e non siamo capaci di spingere oltre il nostro sguardo? Abbiamo la vita eterna a portata di mano e ce la lasciamo sfuggire! Le preferiamo quel surrogato di esistenza che è la nostra troppo breve vita terrena. Restiamo incollati all’immanente senza riuscire neppure a scorgere il trascendente
Mettiamo in gioco la vita. Quella eterna. È così oggi, ed era così al tempo di Gesù: da una parte c’erano i Giudei, con la loro ottusa incredulità; dall’altra parte Cristo, con la sua cristallina verità. Due realtà apparentemente inconciliabili. I Giudei, a dire il vero piuttosto impertinenti, chiesero a Gesù: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete» (cfr. vv. 24-26). Un muro fatto di presunzione, orgoglio, alterigia e dell’egoismo più smodato, impediva ai Giudei di scorgere tutto il bello, la gioia, la maestosità, la divinità di Gesù.
Eppure: «voi non credete – risponde loro Cristo – perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola» (cfr. vv. 26-30). Dio offrì loro la salvezza, ma i Giudei, accecati dai loro peccati, non riuscirono a vederla. La rifiutarono. Proprio non riuscirono a capirla. E la salvezza sfuggì loro via. Non perché Dio gliela abbia tolta; oh no! Ma perché loro stessi se ne allontanarono così tanto da non poterla più raggiungere.
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Purtroppo anche noi possiamo agire così! Quante volte rimaniamo fermi nel recinto delle nostre convinzioni e non siamo capaci di spingere oltre il nostro sguardo? Abbiamo la vita eterna a portata di mano e ce la lasciamo sfuggire! Le preferiamo quel surrogato di esistenza che è la nostra troppo breve vita terrena. Restiamo incollati all’immanente senza riuscire neppure a scorgere il trascendente. Riconduciamo tutto al nostro tornaconto immediato, senza considerare che ogni cosa ha un termine. Ogni ricchezza, anche la più sbalorditiva, non può che essere effimera. Ogni bene materiale ha una sua data di scadenza, un tempo in cui si sgretolerà, si corromperà, o forse, molto più semplicemente, si separerà da noi. Noi, esseri umani, siamo spirito e carne. Eppure ci ricordiamo troppo spesso solo della seconda e dimentichiamo la nostra prima dimensione. Uno psicologo, parafrasando l’analisi transazionale, osserverebbe che soffriamo di disordine degli stati dell’anima.
Dio sa bene cosa siano l’armonia e l’unità: «Io e il Padre siamo una cosa sola». Gesù, Dio Padre, e lo Spirito Santo: è il mistero della Santissima Trinità: tre Persone distinte in un solo Dio, che abita contemporaneamente in ogni tempo ed in ogni luogo. Sì, perché, guardiamoci attorno: ovunque c’è Dio! Nelle smisurate profondità dello spazio, nella perfezione del movimento dei pianeti attorno alle proprie stelle, ma anche nell’infinitamente piccolo di un elettrone che orbita attorno al proprio nucleo, così come nella bellezza di un fiore che sboccia o nel batter d’ali di una farfalla. Ogni cosa, attorno a noi, ci parla di Dio e ci offre, con la sua bellezza e unicità, una testimonianza dell’esistenza del Creatore.
Se smettiamo di sorprenderci per la bellezza di una margherita o per le sfumature del tramonto, allora abbiamo perso la capacità di scorgere Dio. Ormai le nostre vite scorrono monotone e grigie, tutti presi da mille preoccupazioni e scadenze. Camminiamo a testa bassa tra le vie del mondo, senza più essere capaci di renderci conto della sua bellezza. E, così facendo, dimentichiamo di lodare e ringraziare Dio per il creato e le sue creature. Nell’interesse del guadagno ad ogni costo e della speculazione più abietta, rifiutiamo perfino di prenderci cura del pianeta che ci è stato affidato. Ne sconvolgiamo la natura per il nostro tornaconto. In poche parole: rifiutiamo il dono più bello che ci ha fatto Dio. Eppure: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio” (Giovanni 3,18).
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Rifiutandoci di credere in Dio, dimenticandoci di ringraziarlo per i doni che ci ha messo a disposizione, rinunciando alla nostra dimensione spirituale negandone perfino l’esistenza, ci condanniamo con le nostre stesse mani. Perché rinunciamo al dono gratuito della salvezza che ci offre Gesù. Si tratta di accettare l’offerta che ci fa Dio. Farlo entrare dentro di noi, sotto forma di Parola, farlo crescere, maturare e portare frutto. Diventare noi stessi un esempio per tutti quelli che ci stanno accanto. Seminare con altruismo. Ecco come si ottiene la salvezza, che non è tanto un fare, ma un accettare. Ricordarci che la nostra carne non è l’unica parte di noi, ma che esiste anche un’anima.
Fonte: La Buona Parola, il blog di Alessandro Ginotta https://www.labuonaparola.it
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