Andy Warhol, l’artista più iconico della pop art, ripeteva spesso che «Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti». Una frase che rende bene la futilità, o meglio, la vanità degli sforzi umani. Ricchezze, fama, successo, possiamo raggiungere i traguardi più ambiti messi in palio dalla nostra società troppo competitiva. Ma qualsiasi cosa facciamo saremo ben presto dimenticati. Tutto ciò che abbiamo nel mondo non sazierà mai la nostra sete d’infinito. A meno che…
Il tempo è cambiato, nubi si addensano all’orizzonte ed il mare di Galilea non è più quella tavola piatta attraversata a piedi da Gesù, ma si sta increspando. Ci troviamo all’indomani del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ed anche il grande entusiasmo del giorno prima si è spento. La gente interroga Gesù, e le sue risposte non piacciono.
L’uomo è “capriccioso”. Finché le cose vanno bene, fintanto che la pancia è piena, siamo tutti d’accordo, felici e contenti. Ma quando, attorno a noi, comincia ad alzarsi vento di bufera, le capanne di paglia crollano, insieme alla maggior parte dei buoni propositi.
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Così, il Dio che elargisce miracoli gratuitamente e moltiplica il cibo, piace. Mentre, quello che parla chiaro esortandoci ad occuparci dello spirito e non solo della carne, ci inquieta. Quando poi Gesù lascia intravedere il destino della Croce, la folla si scioglie e perfino qualche discepolo si allontana: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?» (v. 60).
Ci viene facile immaginare un Dio vittorioso e potente, svettare sulle nuvole e scagliare fulmini per punire chi si comporta male… mentre è decisamente più complicato accettare l’idea di un Dio mansueto, che si sottopone ad un giudizio ingiusto senza fiatare, per poi morire crocifisso. Dobbiamo fare uno sforzo spirituale troppo grande per capire che non tutto è come ci aspettiamo. Che, qualche volta, si può vincere anche perdendo. Come ha fatto Gesù.
In realtà i discepoli hanno capito bene il discorso di Gesù. Talmente bene che non vogliono ascoltarlo, perché è un discorso che mette in crisi la loro mentalità. La vera causa “dell’incomprensione” è la mancanza di fede: «Tra voi ci sono alcuni che non credono» (v. 64), dice Gesù. Infatti: «molti dei suoi discepoli tornarono indietro» (v. 66). Di fronte a queste defezioni, Gesù non fa sconti e non attenua le sue parole, e mette i Dodici davanti ad una scelta precisa: «Volete andarvene anche voi?» (v. 67).
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Gesù ci chiede di avere fede in Lui. Dobbiamo fidarci di un Dio che vince in modo decisamente strano: vince la morte passandoci attraverso. Vince la Croce salendoci sopra. E così impariamo che non si possono scavalcare od eludere gli ostacoli, ma che li dobbiamo affrontare, con la serenità che Dio sta con noi. Sì, perché anche se noi “lo abbandoniamo” quando le sue parole non ci piacciono, Lui non si separa mai da noi. Ma ci sta sempre vicino. Anzi, Lui è pronto a lasciare tutto ed inoltrarsi nel deserto per venirci a cercare, quando ci smarriamo.
I Dodici lo capiscono e San Pietro risponde, a nome di tutti loro, con un’altra domanda: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (v. 68). Abbiamo bisogno di restare insieme a quel Dio che cammina con noi. La fedeltà è questa: legarsi ad una persona per camminare insieme sulla stessa strada. Lo fanno gli sposi. Lo fa l’umanità che sposa Gesù.
Tutto quello che abbiamo nel mondo non sazia la nostra sete d’infinito finchè ci ostiniamo a restare soli. Noi abbiamo bisogno di Gesù, di stare insieme a Lui, di nutrirci della sua Parola. Perché più gli restiamo vicino, più cresce il nostro desiderio di rimanere con Lui. E così, ancora una volta, Dio vince in modo per noi incomprensibile.
Gesù è morto al nostro posto! Cristo non solo ha dato la sua vita per noi, ma è risorto per vincere definitivamente la morte! Serve il cuore per capire davvero Dio. Non basta la testa. E solo Dio può saziare la nostra sete di infinito.
Fonte: La Buona Parola, il blog di Alessandro Ginotta https://www.labuonaparola.it
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