Alberto Maggi – presunzione, arroganza e i deliri di onnipotenza

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Da “chi si loda, s’imbroda” a “dalle stelle alle stalle”, e all’evangelico “chi si esalta sarà umiliato” (Lc 14,11; 18,14), la saggezza popolare ha sempre messo in guardia gli individui dal delirio di onnipotenza, dal non sopravvalutarsi e dal non cacciarsi in situazioni che poi non si è capaci di gestire adeguatamente. È bene che ogni essere umano possa sviluppare al meglio le proprie capacità e qualità per realizzare se stesso e mettere al servizio degli altri il proprio sapere, le proprie competenze e doti; ma è anche bene che sappia accettare i propri limiti, che non voglia strafare, o presumere troppo di se stesso, perché poi, quando ciò non avviene, la realtà presenta il conto e inevitabilmente arriva il contraccolpo, che è tanto più doloroso quanto più in alto si è arrampicato.

La mitologia greca ha espresso magistralmente, attraverso le figure universali di Icaro e di Fetonte, come la presunzione e l’arroganza alla fine si ritorcano contro l’individuo e la società. Inascoltato il monito del padre Dedalo, Icaro si avvicinò troppo al sole, e la cera con la quale il padre gli aveva attaccato le penne al corpo per farlo volare, si squagliò, Icaro precipitò in mare e morì. Ma se Icaro, presumendo delle sue forze, in fondo danneggiò solo se stesso, ancora più drammatica e pericolosa è la figura di Fetonte, il figlio di Elio, dio del Sole. Fetonte pretese di guidare lui il carro del sole, ma non ne aveva la capacità e l’esperienza, e fu un disastro, ne perse il controllo, e il carro salì nell’alto dei cieli incendiandone un buon tratto, poi precipitò sulla terra, sulla Libia, che bruciò facendola diventare un deserto, finché Zeus risolse tutto sbrigativamente con un fulmine che mise fine alla corsa e alla vita del maldestro Fetonte.

Anche la sapienza biblica mette in guardia i superbi, avvertendo chi pretende di innalzarsi sugli altri del rischio di finire miseramente, perché “la presunzione ha fatto smarrire molti” (Sir 3,24). Monito che si ritrova nella satira del profeta Isaia sull’ascesa e il tonfo di un re di Babilonia (forse lo stesso Nabucodonosor) che, volendo salire “sopra le stelle di Dio”, si ritrovò miseramente precipitato nelle “profondità dell’abisso”, e il profeta, beffardo, gli chiede con malcelata soddisfazione: “Come mai sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora? Come mai sei stato gettato a terra, signore di popoli?” (Is 14,12-15). Ugualmente, il profeta Ezechiele ironizza, canzonandolo, sul re di Tiro che si era inorgoglito per il suo potere e le sue ricchezze, tanto da considerarsi una divinità (“il tuo cuore si è insuperbito e hai detto: Io sono un dio… mentre tu sei un uomo e non un dio”), e gli viene annunciata la sua sciagurata fine (“ Ti precipiteranno nella fossa e morirai della morte degli uccisi in mezzo ai mari.  Ripeterai ancora: «Io sono un dio», di fronte ai tuo uccisori? Ma sei un uomo e non un dio in balìa di chi ti uccide”, Ez 28,1-9).

Se la caduta dei grandi è inevitabile, e quanto più sono saliti in alto, tanto più sarà devastante l’effetto del loro ruzzolone, è altresì vero che i potenti non hanno alcuna intenzione di lasciare il loro posto, e faranno di tutto per mantenere la loro condizione privilegiata, manipolando costantemente la verità, chiamando “bene il male e male il bene” (Is 5,20). Dai tempi della Bibbia ai giorni nostri, come ricorda il gattopardesco “bisogna cambiare tutto per non cambiare niente”, chi detiene il potere è pronto a ogni forma di cambiamento pur di non perderlo: “cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro” (Is 5,29).

I credenti, di fronte a questi detentori del potere che dominano e opprimono (Mc 10,42), non possono e non devono essere neutrali, altrimenti ne diventano complici, ma sono chiamati a contrastarli e contribuire attivamene alla loro caduta, con la consapevolezza che ogni colosso, per quanto maestoso e solenne, ha i piedi d’argilla (Dn 2,33) e, prima o poi, nei modi più imprevisti e inaspettati, è destinato a crollare e a sparire “senza lasciare traccia” (Dn 2,35). Per questo, fin dalle prime pagine dei vangeli, il credente è chiamato a collaborare con un Dio che da sempre spodesta quanti si mettono al di sopra degli altri (“cavallo e cavaliere ha gettato nel mare”, Es 15,1.21), un Signore costantemente a fianco degli oppressi e mai degli oppressori (“Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”, Lc 1,32; Gb 12.19), e che, ai grandi che si sentono immortali e credono che il loro potere sia eterno, dice: “certo morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti” (Sal 82,7).

Mentre in ogni religione il potere veniva conferito dalla divinità e per questo sacralizzato, con Gesù inizia la sua demitizzazione, un processo irreversibile che vedrà la caduta di tutti quei poteri che si oppongono al bene dell’uomo: “Le stelle cadranno dal cielo” (Mc 13,25); “Le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come un albero di fichi, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i frutti non ancora maturi” (Ap 6,13). Le “stelle”, immagine dei re e dei principi, precipiteranno, perché, assicura Gesù, l’annuncio del vangelo aprirà gli occhi ai ciechi, renderà le persone capaci di vedere che quelli che ammirano e servono, in realtà sono i loro oppressori. La costante proclamazione della buona notizia da parte dei discepoli, chiamati a essere come il Cristo “luce del mondo” (Gv 8,12; Mt 5,14), provocherà in ogni tempo l’eclisse dei falsi dèi, smascherandoli, come il sole e la luna, che dai pagani erano considerate divinità (“il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce”, Mc 13.34; Dt 4,19). Il Signore non annuncia calamità che colpiranno la terra, ma il cielo, l’habitat dei potenti. Il loro oscuramento sarà effetto dell’annuncio della buona notizia di Gesù, e quel che si credeva vero si dimostrerà falso e quel che si riteneva sacro, impuro.

Quello di Gesù è un annuncio di liberazione (“quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”, Lc 21,28), che però richiede l’attiva partecipazione dei credenti perché si realizzi. Per questo il compito profetico di ogni credente è quello della sentinella che avverte in anticipo del pericolo che altri non percepiscono ancora (“Figlio dell’uomo, ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia”, Ez 3,17. 31,7; Os 8,1) e di smascherare i “falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci!” (Mt 7,15). Guai a quel credente che per quieto vivere, per opportunismo, tace di fronte al male che vede e non lo denuncia (Ez 33,6). Gesù non obbliga nessuno a seguirlo, ma chi lo fa deve essere consapevole della responsabilità di essere “il sale della terra” (Mt 5,13; Nm 18,19), ovvero l’elemento che rende valido e duraturo il suo messaggio. Ma se si limita ad ascoltarlo senza tradurlo in scelte di vita, sociali e politiche  “a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente” (Mt 5,13).

Fonte: il Libraio