Commento al Vangelo del 5 Agosto 2018 – Figlie della Chiesa

“Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che rimane per la vita eterna”. Queste parole sono difficili da intendere, come noteranno molti dei suoi discepoli al termine dell’intero discorso di Gesù sul pane di vita (cfr. Gv 6,60); da quel giorno essi si tirarono indietro e non seguirono più Gesù. Cercavano infatti, anche da Gesù, il cibo che perisce: non riuscivano a immaginare, soprattutto non riuscivano a credere in un altro cibo. Di fronte al rifiuto di Gesù pensarono di non aver ormai più nulla da attendere da lui. Che cercassero soltanto il cibo che perisce, Gesù lo sottolinea dicendo: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato dei pani e vi siete saziati”.

La folla cerca Gesù, dopo il miracolo dei pani, così come ogni folla umana cerca di ritrovare ciò che ha già conosciuto e in cui ha trovato sazietà. Ma ciò che è già stato conosciuto è anche ciò che è passato, ciò che perisce e che sempre da capo ha bisogno di essere ripetuto, non potendo condurre a nulla di definitivo. Il cibo che perisce è per eccellenza il cibo che soddisfa il bisogno dell’uomo: così come ineluttabile e senza libertà è il bisogno che rende l’uomo dipendente dal cibo, dalla bevanda e da mille altre cose materiali, senza libertà e senza vita che rimanga è anche l’uomo che fa consistere la vita nella soddisfazione dei suoi bisogni.

“Fossimo morti per mano del Signore nel paese d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà”; il rimpianto degli Ebrei nel deserto per la condizione di schiavitù – schiavitù nei confronti dell’Egitto, ma anche schiavitù nei confronti del bisogno – esprime con chiarezza quasi caricaturale l’avvilimento dell’uomo che cerca il cibo che perisce: quell’uomo si augura, alla fine, di morire. La sazietà passata – quella sazietà che, quando era presente, appariva fuori di senso e torpida -, ora che è assente, appare come unico motivo capace di giustificare la vita. Così si inganna l’uomo: quando è affamato egli fa consistere la vita nella sazietà, e quando è sazio si addormenta, senza più darsi alcun pensiero della vita.

Gesù proclama beato l’uomo che ha fame e sete, perché quello è l’uomo che si prende cura della vita. Ma fame e sete debbono essere della giustizia, è detto nelle beatitudini (cfr. Mt 5,6); così come qui nel vangelo di Giovanni si dice che la fame deve essere del cibo che rimane per la vita eterna. L’altro cibo, quello che perisce insieme alla provvisoria sazietà che produce, deve diventare un segno: chi riconosce in esso un segno, non cerca semplicemente di riprodurre la sazietà passata, non è continuamente risucchiato nell’illusione del provvisorio, ma impara a desiderare l’eterno, impara a cercare quel Dio che solo può dare il pane vero. “Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane del cielo, quello vero”.

La ciclicità inutile e senza termine della fame e in generale del bisogno materiale che, soddisfatto, da capo risorge identico, senza sapere mai immaginare – né realizzare – una sazietà definitiva, offre un’immagine eloquente e persuasiva di un’altra e più comprensiva figura di vita, assai comune: quella che si affida a ciò che soddisfa per trovare un senso. E’ questa la figura di vita propria dell’uomo che non sa mai volere nulla in maniera assoluta, o anche – è la stessa cosa – non sa mai credere. Non sa mai scegliere, né dedicarsi a nulla come a cosa degna e meritevole per sempre. Quest’uomo è perpetuamente nell’atteggiamento del giudice che apprezza la corrispondenza degli avvenimenti, delle circostanze o delle altre persone, alle sue attese, oppure (più frequentemente) lamenta la non corrispondenza; in ogni caso, giudica quello che il mondo gli offre, ma non sa volere, non osa cercare una vita per sempre. Quest’uomo è, come subito si capisce, destinato a svanire nella morte, insieme a tutte le provvisorie soddisfazioni e le provvisorie delusioni che i tempi via via gli offrono. A lui Gesù dice: procurati non il cibo che perisce, ma quello che rimane per la vita eterna. A lui dice ancora: “Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato”. Anzitutto, credere: non cercare sempre e solo esperienze che soddisfino; non andare a zonzo per il mondo nell’attesa che capiti qualche cosa di interessante, piacevole, soddisfacente, rassicurante, e così via; non questo, ma credere, e cioè decidersi per ciò che, pur senza poter essere sperimentato, può essere sperato e voluto come motivo di vita per sempre. E poi, credere in colui che Dio ha mandato.

Ma la folla di Cafarnao, così come la folla di oggi, non può riconoscere quello che Dio ha mandato, perché non ha occhi: ancor prima di incontrare Gesù ha deciso di accontentarsi del cibo che perisce, di una vita, se non proprio entusiasmante, almeno sopportabile e decente; di una vita che torna continuamente a rovistare fra le cose vecchie e già collaudate, per prolungarsi di qualche giorno o di qualche anno; di una vita che non sa elevarsi alla temeraria ricerca del pane che rimane per sempre.

Certo temeraria appare questa ricerca. Per assuefarci al pensiero delle cose eterne – al pensiero di Dio – sembra debba esserci necessario un tempo più lungo di quanto non preveda la nostra breve esistenza terrena. Ma è un’apparenza che inganna. Quello che manca non è il tempo, ma la sincerità del desiderio: la risolutezza della decisione a lasciarsi inquietare da quella fame di un cibo che rimane per sempre.

Appendice

Sazietà e desiderio senza fine

Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà piú sete” (Gv 6,35).

Chi viene a me” ha lo stesso significato di “chi crede in me.Non avrà più fame” vuol dire la stessa cosa di “non avrà più sete. In un caso e nell`altro è significata la sazietà eterna quando più nulla manca.

Precisa, peraltro, la Sapienza: “Coloro che mi mangiano, avranno ancora fame; quelli che mi bevono avranno ancora sete” (Sir 24,29). Cristo, Sapienza di Dio (cf. 1Cor 1,24), non è mangiato fin d`ora fino a saziare il nostro desiderio, ma solo nella misura in cui eccita il nostro desiderio di sazietà; e più gustiamo la sua dolcezza più il nostro desiderio si ravviva. Ecco perché coloro che lo mangiano avranno ancora fame fino a che non sopraggiunge la sazietà. Ma, quando il loro desiderio sarà stato soddisfatto dai beni celesti, essi non avranno più né fame né sete (cf. Ap 7,16).

La frase: “Coloro che mi mangiano avranno ancora fame, può anche intendersi in rapporto al mondo futuro: infatti vi è in questa sazietà eterna una sorta di fame, che non deriva dal bisogno bensì dalla felicità. I commensali desiderano mangiarvi in continuazione: mai soffrono la fame, e nondimeno mai cessano dal venir saziati. Sazietà senza ingordigia, desiderio senza gemito. Cristo, sempre ammirabile nella sua bellezza, è del pari sempre desiderabile, “lui che gli angeli desiderano ammirare” (1Pt 1,12).

Così, proprio quando lo si possiede lo si desidera; proprio quando lo si afferra lo si cerca, secondo quanto è scritto: “Cercate sempre il suo volto” (Sal 104,4).

Sì, lo si cerca sempre, colui che si ama per sempre possederlo. Per cui, coloro che lo trovano lo cercano ancora, quelli che lo mangiano ne hanno ancora fame, quelli che lo bevono ne hanno ancora sete.

Tale ricerca, però, rimuove ogni preoccupazione, tale fame scaccia ogni fame, tale sete estingue ogni sete. E` fame non dell`indigenza, bensì della felicità consumata. Della fame dell`indigente, è detto: “Chi viene a me non avrà più fame, chi crede in me non avrà più sete. Della fame del beato, invece: “Coloro che mi mangiano avranno ancora fame; quelli che mi bevono avranno ancora sete.

Il termine fame può intendersi come equivalente di sete, sia che si tratti della miseria, sia che si tratti della felicità; però, se si preferisce sottolineare una differenza, il Salmista ne fornisce l`occasione, allorché dice: “Il pane sostiene il cuore dell`uomo, e: “Il vino allieta il cuore dell`uomo” (Sal 103,15).

Per coloro che credono in lui, Cristo è cibo e bevanda, pane e vino. Pane che fortifica e rinvigorisce, del quale Pietro dice: “Il Dio di ogni grazia, che ci ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, ci ristabilirà lui stesso dopo breve sofferenza, ci rafforzerà e ci renderà saldi” (1Pt 5,10). Bevanda e vino che allieta; è ad esso che si richiama il Profeta in questi termini: “Allieta l`anima del tuo servo; verso di te, infatti, o Signore, ho innalzato la mia anima” (Sal 85,4).

Tutto ciò che in noi è forte, robusto e solido, gioioso e allegro, per adempiere i comandamenti di Dio, sopportare la sofferenza, eseguire l`obbedienza, difendere la giustizia, tutto questo è forza di quel pane o gioia di quel vino. Beati coloro che agiscono fortemente e gioiosamente!

E siccome nessuno può farlo di suo, beati coloro che desiderano avidamente di praticare ciò che è giusto e onesto, ed essere in ogni cosa fortificati e allietati da Colui che ha detto: “Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia” (Mt 5,6). Se Cristo è il pane e la bevanda che assicurano fin da ora la forza e la gioia dei giusti, quanto di più egli lo sarà in cielo, quando si donerà ai giusti senza misura! (Baldovino di Ford, De sacram. altar., 2, 3)

Caratteristiche del Pane di Cristo

Altro è il cibo che dà salute e vita e altro il cibo che raccomanda e riporta l`uomo a Dio, altro il cibo che ristora i deboli, richiama gli erranti, rialza i caduti, porge ai morenti il distintivo dell`immortalità. Cerca il pane di Cristo, il calice di Cristo, se vuoi che la vita dell`uomo, mettendo da parte le cose periture della terra, si nutra d`un pascolo immortale.

Ma qual è questo pane, o questo calice, del quale la Sapienza nel libro di Salomone dice a gran voce: “Venite, mangiate il mio pane e bevete il vino, che ho versato per voi” (Pr 9,5)? E Melchisedech, re di Salem e sacerdote del sommo Dio, al ritorno di Abramo, offrì un sacrificio in pane e vino (Gen 14,18). Ed anche Isacco, avendo già dato la benedizione a Giacobbe, poiché Esaù lo supplicava di benedire anche lui, gli rispose: “L`ho già costituito tuo padrone e i suoi fratelli li ho fatti suoi servi, l`ho provveduto di frumento e di vino” (Gen 27,37). Allora Esaú pianse amaramente la sua disgrazia, perché aveva perduto la grazia del frumento e del vino, cioè la grazia della felicità futura.

Che poi questo pane divino sia offerto a persone consacrate, lo dice lo Spirito Santo per mezzo di Isaia: così dice il Signore: ecco, coloro che mi servono, mangeranno, voi invece avrete fame; coloro che mi servono, saranno felici, voi avrete vergogna, il Signore vi ucciderà (Is 65,13-15). Non solo questo pane è rifiutato da Dio agli empi, ma vien minacciata anche una pena, si parla di morte acerba, come conseguenza dell`ira divina per gli affamati. A questo si riferiscono anche le venerande parole del salmo 33. Dice infatti lo Spirito Santo per mezzo di David: “Gustate e vedete quanto è dolce il Signore” (Sal 33,9). E` dolce il pascolo celeste, è dolce il cibo di Dio e non ha in sé il triste tormento della fame ed espelle dalle midolla degli uomini la malignità del veleno che vi trova. E che sia così lo dichiarano i seguenti oracoli della Scrittura: “Temete il Signore, voi che siete consacrati a lui, perché non manca nulla a coloro che lo temono. I ricchi soffriranno la fame, ma quelli che cercano il Signore, non mancheranno di alcun bene” (Sal 33,10). Tu che avanzi paludato nel tempio, che splendi di porpora, il cui capo è coperto di oro o alloro, una turpe indigenza sta per raggiungere il tuo errore e sul tuo capo pende un grave peso di povertà. Colui che tu disprezzi come povero, è ricco; Abramo gli prepara un trono nel suo seno. Tu invece, per mitigare le ferite della tua coscienza, attraverso le fiamme, gli chiederai una stilla d`acqua gocciolante e Lazzaro, anche se volesse, non potrà darti né impetrarti quel lenimento del tuo dolore. A lui è assegnata la vita in compenso dei mali di questo secolo, a te viene assegnata una perpetua pena di tormenti per i beni di questo secolo.

Perché si capisse meglio quale fosse il pane per mezzo del quale si supera la morte, il Signore stesso lo ha indicato con la sua santa parola, perché la speranza degli uomini non fosse ingannata da false interpretazioni. Dice infatti nel Vangelo di Giovanni: “Io sono il pane della vita. Chi verrà a me non avrà fame, chi crederà in me non avrà mai sete” (Gv 6,35). La stessa cosa dice nelle frasi seguenti: “Se uno ha sete, venga; e beva, chi crede in me. E di nuovo, per dare la sostanza della sua maestà a coloro che credono in lui dice: “Se non mangerete la carne del figlio dell`uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi.

O miseri mortali fatti dèi! Cercate la grazia del cibo salutare e bevete il calice immortale. Cristo col suo cibo vi richiama alla luce e vivifica i vostri arti avvelenati e le vostre membra intorpidite. Ravvivate col cibo celeste l`uomo perduto, in modo che rinasca in voi, per grazia di Dio, tutto ciò che è morto. Sapete ormai che cosa val la pena fare, scegliete ciò che vi piace. Di là nasce la morte, di qui sgorga la vita immortale. (Firmico Materno, De errore prof. relig., 18, 2-8)

Unione del collegio presbiterale con il vescovo

Conviene procedere d`accordo con la mente del vescovo, come già fate. Il vostro presbiterato ben reputato degno di Dio è molto unito al vescovo come le corde alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canta a Gesù Cristo. E ciascuno diventi un coro, affinché nell`armonia del vostro accordo prendendo nell`unità il tono di Dio, cantiate ad una sola voce per Gesù Cristo al Padre, perché vi ascolti e vi riconosca, per le buone opere, che siete le membra di Gesù Cristo. E` necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio…

Nessuno s`inganni: chi non è presso l`altare, è privato del pane di Dio (cf. Gv 6,33). Se la preghiera di uno o di due ha tanta forza, quanto più quella del vescovo e di tutta la Chiesa! Chi non partecipa alla riunione è un orgoglioso e si è giudicato. Sta scritto: “Dio resiste agli orgogliosi” (Pr 3,34). Stiamo attenti a non opporci al vescovo per essere sottomessi a Dio…

Ognuno e tutti insieme nella grazia che viene dal suo nome vi riunite in una sola fede e in Gesù Cristo del seme di David (cf. Rm 1,3) figlio dell`uomo e di Dio per ubbidire al vescovo e ai presbiteri in una concordia stabile spezzando l`unico pane che è rimedio di immortalità…

Come Gesù Cristo segue il Padre, seguite tutti il vescovo e i presbiteri come gli apostoli; venerate i diaconi come la legge di Dio. Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa. Sia ritenuta valida l`Eucaristia che si fa dal vescovo o da chi è da lui delegato. Dove compare il vescovo, là sia la comunità, come là dove c`è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica. Senza il vescovo non è lecito né battezzare né fare l`agape; quello che egli approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro. (Ignazio di Antiochia, Ad Ephes., 4, 1-2; 5, 2-3; Ad Smyrn., 7, 2; 8, 2)

Essere disposti a perdere tutto per guadagnare Cristo

Uomini avidi! Perché restate avvinti al desiderio di guadagno? Perché non apprendere l`arte? Perché non disprezzate ciò che è privo di valore, o meglio, svantaggio e sozzura, per guadagnare Cristo? “Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il vostro patrimonio per ciò che non sazia?” (Is 55,2). A me sembra che ai vostri occhi “il pane disceso dal cielo per dare la vita al mondo” (Gv 6,33) abbia meno valore del vostro denaro!… Se l`avaro stimasse almeno la propria persona più preziosa della propria fortuna! Se potesse non mettere in vendita la propria anima per amore del denaro, e fintanto che resta in vita, non strapparsi le viscere (cf. Sir 10,10)! E` per contro un commerciante avveduto, un esperto attento al valore delle cose, colui che – parlo evidentemente di Paolo – stimava che la propria anima – ovvero la vita animale e sensibile – non valesse piú di lui (cf. At 20,24), e cioè del suo spirito, con il quale costituiva un tutt`uno e per il quale aderiva a Cristo. Era pronto a perdere la sua anima, al fine di poterla conservare per la vita eterna (cf. Gv 12,25). (Guerric d`Igny, Sermo de resurrect., 2, 3)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

In questa domenica continua la lettura del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni. Dopo la moltiplicazione dei pani, la gente si era messa a cercare Gesù e finalmente lo trova presso Cafarnao. Egli comprende bene il motivo di tanto entusiasmo nel seguirlo e lo rivela con chiarezza: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (Gv6, 26). In realtà, quelle persone lo seguono per il pane materiale che il giorno precedente aveva placato la loro fame, quando Gesù aveva fatto la moltiplicazione dei pani; non hanno compreso che quel pane, spezzato per tanti, per molti, era l’espressione dell’amore di Gesù stesso. Hanno dato più valore a quel pane che al suo donatore. Davanti a questa cecità spirituale, Gesù evidenzia la necessità di andare oltre il dono, e scoprire, conoscere il donatore. Dio stesso è il dono e anche il donatore. E così da quel pane, da quel gesto, la gente può trovare Colui che lo dà, che è Dio. Invita ad aprirsi ad una prospettiva che non è soltanto quella delle preoccupazioni quotidiane del mangiare, del vestire, del successo, della carriera. Gesù parla di un altro cibo, parla di un cibo che no è corruttibile e che è bene cercare e accogliere. Egli esorta: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna che il Figlio dell’uomo vi darà (v. 27). Cioè cercate la salvezza, l’incontro con Dio.

E con queste parole, ci vuol far capire che, oltre alla fame fisica l’uomo porta in sé un’altra fame – tutti noi abbiamo questa fame – una fame più importante, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta di fame di vita, di fame di eternità che Lui solo può appagare, in quanto è «il pane della vita» (v. 35). Gesù non elimina la preoccupazione e la ricerca del cibo quotidiano, no, non elimina la preoccupazione di tutto ciò che può rendere la vita più progredita. Ma Gesù ci ricorda che il vero significato del nostro esistere terreno sta alla fine, nell’eternità, sta nell’incontro con Lui, che è dono e donatore, e ci ricorda anche che la storia umana con le sue sofferenze e le sue gioie deve essere vista in un orizzonte di eternità, cioè in quell’orizzonte dell’incontro definitivo con Lui. E questo incontro illumina tutti i giorni della nostra vita. Se noi pensiamo a questo incontro, a questo grande dono, i piccoli doni della vita, anche le sofferenze, le preoccupazioni saranno illuminate dalla speranza di questo incontro. «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35). E questo è il riferimento all’Eucaristia, il dono più grande che sazia l’anima e il corpo. Incontrare e accogliere in noi Gesù, “pane di vita”, dà significato e speranza al cammino spesso tortuoso della vita. Ma questo “pane di vita” ci è dato con un compito, cioè perché possiamo a nostra volta saziare la fame spirituale e materiale dei fratelli, annunciando il Vangelo ovunque. Con la testimonianza del nostro atteggiamento fraterno e solidale verso il prossimo, rendiamo presente Cristo e il suo amore in mezzo agli uomini.

La Vergine Santa ci sostenga nella ricerca e nella sequela del suo Figlio Gesù, il pane vero, il pane vivo che non si corrompe e dura per la vita eterna. (Papa Francesco, Angelus del 2 agosto 2015).

Fonte: Figlie della Chiesa

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XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B

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Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,24-35
 
In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
 
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
 
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
 
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Parola del Signore

Fonte: LaSacraBibbia.net

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