Rivolto alle folle che lo ascoltavano, Gesù aveva fatto l’elogio di Giovanni il Battista e l’aveva riconosciuto come “l’Elia che deve venire” (Mt 11,14). Giovanni ora si trova in prigione; è un profeta perseguitato e la sua missione non è stata riconosciuta, ma se Giovanni non è riconosciuto come il precursore del Messia, anche Gesù, il Messia, non può essere riconosciuto.
Allora Gesù ammonisce le folle con una parabola e un’invettiva. Una parabola per svelare l’atteggiamento di “questa generazione”, la generazione che, pur avendo visto e udito la predicazione di Giovanni e le opere compiute da Gesù, non li ha riconosciuti come inviati da Dio. E un’invettiva per ammonire, per destare dalla cecità e invitare a cogliere l’agire di Dio, la missione che Dio ha affidato ai suoi inviati.
Nella parabola ci sono dei bambini che stanno seduti e si rifiutano di giocare mentre pretendono di determinare il gioco degli altri. Essi si atteggiano a spettatori, ma si ribellano quando gli altri interpretano il gioco diversamente da come essi vorrebbero. Così si è comportata “questa generazione” di fronte al Battista e a Gesù. Il Battista digiunava ed essi, anziché associarsi al suo digiuno per preparare la via al Veniente, lo accusano di avere un demonio; Gesù mangia e beve ed essi, anziché rallegrarsi con lui, che si fa prossimo a pubblicani e peccatori, trovano sconveniente il suo comportamento.
Alla parabola Gesù fa seguire un’invettiva contro le città dove aveva compiuto “la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite”. Come i profeti dell’Antico Testamento, Gesù usa parole forti non per condannare, ma per ridestare le coscienze. Il rimprovero alle città di Corazim, di Betsaida, e di Cafarnao non è altro che la continuazione della spiegazione della parabola con un esempio palese. Il tono polemico, come le invettive dei profeti, ha il compito di scuotere dall’intorpidimento, dalla propria lettura degli eventi, per poter riconoscere la vicinanza del Regno e rispondere con la conversione.
Ma Matteo pone al centro del racconto le parole di Gesù: “La sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie”, sulle quali vuole attirare l’attenzione. Luca nel racconto parallelo dice che: “La sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli” (Lc 7,35) e per l’evangelista tutti i suoi figli sono i credenti in Gesù, coloro che l’hanno riconosciuto come messia e salvatore. In questo brano Matteo vuole dire una cosa diversa. Gesù fa appello alla sapienza divina, che è giustificata dalle opere che compie. La sapienza divina si manifesta nell’agire di Giovanni che chiama a prepararsi alla venuta del Signore con la conversione, e nell’agire di Gesù attraverso cui Dio si fa prossimo a tutti, anche a pubblicani e peccatori.
Per Matteo le opere della sapienza divina sono quelle che Gesù compie e che sono la risposta agli inviati di Giovanni: “Andate e riferite ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo” (Mt 11,4-5). Opere che autenticano Gesù come il Veniente e che testimoniano la volontà di salvezza di Dio per tutti e che non viene meno anche di fronte al rifiuto, perché l’amore di Dio va oltre ogni nostro rifiuto.
fratel Mauro della comunità monastica di Bose
Mt 11, 25-27
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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