Omelia del Card. Gualtiero Bassetti
in occasione del Millennio della fondazione dell’Abbazia di San Miniato al Monte (1018-2018)
11 luglio 2018
Con animo grato al Signore, sono salito di nuovo su quest’altura meravigliosa dalla quale si scorge tutta Firenze e la valle dell’Arno, da secoli culla di civiltà e di ingegno, segnata dalla vivida luce della fede cristiana, che, nella sua capacità di penetrare lo spirito umano, ne esalta le virtù e lo invita alla ricerca di Dio e della sua gloria. Mille anni fa (27 aprile 1018), il vescovo fiorentino Ildebrando affidò questo luogo, sacro alla memoria del martire Miniato, ai figli di san Benedetto, i quali, da allora, lo custodiscono con amore, intenti all’opus Dei, con il fervore spirituale che da sempre li anima e con l’impegno fattivo nella costruzione del regnum Dei, che avrà il suo pieno compimento nei tempi di Dio.
Un vivo ringraziamento rivolgo all’abate Dom Bernardo per l’invito che mi ha rivolto a presiedere questa solenne celebrazione, nell’anno millesimo dell’abbazia; con lui saluto e ringrazio la comunità benedettino-olivetana e quanti in essa vivono e operano.
Carissimi fratelli e sorelle, la pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta la vocazione di Benedetto, come se fosse riletta attraverso la viva voce dell’apostolo Pietro. Questi si rivolge a Gesù che ha appena visto andarsene un uomo ricco, il quale, di fronte alla richiesta esigente di lasciare tutto per il Regno dei Cieli, ha preferito conservare le proprie ricchezze.
San Gregorio Magno invece scrive, nella sua Vita di Benedetto, che il santo, «nato di nobile famiglia nella regione di Norcia», «se l’avesse voluto, avrebbe potuto largamente godere gli svaghi del mondo, ma egli li disprezzò come fiori seccati e svaniti».
Gregorio aggiunge che ad un certo punto della sua vita, dopo essere stato a Roma per la formazione culturale, Benedetto «abbandonò con disprezzo gli studi, abbandonò la casa e i beni paterni e partì, alla ricerca di un abito che lo designasse consacrato al Signore».
Ritroviamo in questi tratti della vita di Benedetto le tracce di ogni vocazione: come san Pietro, chi sceglie il Signore deve lasciare molte cose. Ma ciò che viene lasciato – sottolinea Gesù – è restituito con il centuplo! Il santo di Norcia, seguendo Cristo, trovò una nuova casa, una nuova famiglia, e soprattutto – lui che aveva anche abbandonato gli studi mondani – divenne per l’Italia e per tutta l’Europa, grazie alla fondazione dei monasteri e delle scuole monastiche, il centro propulsore della cultura cristiana.
È ancora grazie alle parole di Gesù a Pietro che vogliamo sottolineare questo aspetto della figura di san Benedetto. Al suo discepolo, Gesù promette che alla rigenerazione del mondo salirà a “giudicare” le dodici tribù di Israele. Probabilmente qui il Signore si riferiva al ruolo di quei Giudici che, come Mosè o Giosuè, e altri ancora dopo, ebbero cura delle tribù di Israele e le guidarono alla salvezza. Giudicare significava allora, per Gesù, governare.
Da qui deriva, cari fratelli e sorelle, quale ruolo determinante svolga la cultura per l’annuncio cristiano, e come l’Europa – di cui il santo Benedetto è patrono – abbia ancora bisogno dei valori cristiani, gli unici capaci di governare davvero i popoli verso la pace e il bene.
Tale idea si coglie anche nella prima lettura, tratta dal libro dei Proverbi, dove ci viene presentato l’uomo saggio che cerca la sapienza, e sa che potrà conseguirla solo custodendo i precetti del Signore.
Questa pagina, tratta da uno dei bei libri biblici risalenti all’antichissimo genere sapienziale, ci mette anche in guardia da una intelligenza semplicemente fine a se stessa. Dalla sapienza secondo Dio, infatti, vengono equità e giustizia, come abbiamo sentito: «Allora comprenderai l’equità e la giustizia, la rettitudine e tutte le vie del bene».
Ecco un altro tratto della biografia del santo di Norcia: il bene compiuto verso il prossimo, in particolare nella forma dell’accoglienza. Sappiamo quanto il santo insistesse perché i monasteri fossero aperti agli ospiti, e addirittura nella Regola esiste un intero paragrafo dedicato a loro:
quando giungono in monastero, scrive san Benedetto, «siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: “Sono stato ospite e mi avete accolto”» (Regola, cap. LIII).
Di ospitalità c’era particolarmente bisogno nel tempo in cui il monachesimo occidentale compiva i suoi passi durante il tempo delle cosiddette “invasioni barbariche”.
L’ospite non era però visto come un pericolo, ma – l’abbiamo appena sentito – come Cristo stesso che bussava alla porta. Ci viene qui in aiuto il suono della parola ospite nella lingua latina, hospes, che si associa a un’altra parola, hostis, che però significa “nemico”. Il mio confratello card. Gianfranco Ravasi, in un editoriale su Avvenire, ebbe a scrivere nel 2011 che «la civiltà ha fatto un passo decisivo, forse il passo decisivo per eccellenza, il giorno in cui lo straniero, da nemico (hostis), è divenuto ospite (hospes). Il giorno in cui nello straniero si riconoscerà un ospite, allora qualcosa sarà mutato nel mondo» (Avvenire, 30 giugno 2011). Queste parole valgono ancora, e forse soprattutto, oggi.
Mille anni fa, questo santuario fu affidato ai monaci che seguivano la Regola di san Benedetto e che tra il X e l’XI secolo ebbero un enorme sviluppo in tutta l’Europa.
Si ritiene che i primi monaci a San Miniato fossero legati ai Cluniacensi della celebre abbazia di Cluny, in Borgogna, che aveva migliaia di dipendenze in Francia, in Lombardia, fino a San Paolo fuori le Mura, a Roma, e a Farfa, in Sabina.
Se questo monastero di San Miniato non dipendeva direttamente da Cluny, certamente ne seguiva le Consuetudini, lo spirito di fedeltà rigorosa alla Regola di san Benedetto, lo stile della preghiera liturgica e del canto sacro detto gregoriano, che trovò in Guido d’Arezzo colui che ha codificato il tetragramma e le sette note musicali.
Sono lieto perciò anche in questo di rallegrarmi con l’attuale comunità, che prega eseguendo le melodie gregoriane.
Dopo trecento anni e più di esistenza, di cui si occupano gli storici nei convegni e nelle celebrazioni per il Millenario, nel 1373 questo monastero accolse i monaci della Congregazione di Monte Oliveto, fondata pochi decenni prima da san Bernardo Tolomei, sulle colline senesi. Questa basilica, nella sua bellezza ed evoluzione artistica, conserva le memorie più sacre ed antiche della Chiesa fiorentina, come testimoniano il mosaico della facciata e dell’abside, con Cristo Pantocratore, la Vergine Santissima alla sua destra e san Miniato alla sua sinistra. Sappiamo infatti che i monaci Olivetani hanno una particolare devozione verso la Madonna, alla quale è dedicato il monastero principale di Monte Oliveto Maggiore.
In questi seicentocinquanta anni di presenza, i monaci Olivetani hanno perfezionato e completato la bellezza della basilica e della cripta con le splendide opere d’arte che la arricchiscono. Siamo oltremodo lieti che di recente il monastero sia rifiorito per la presenza di nuove giovani vocazioni.
Il Signore Iddio, che guida i cuori degli uomini e anche la storia dei popoli, benedica e protegga sempre la famiglia benedettina, in Italia e in Europa; la renda strumento prediletto del suo amore per il mondo, per la bellezza del creato, per la lode della sua gloria, manifestazione palpabile della vita di grazia e di intelletto, profezia di un mondo nuovo, in cui l’amore e la fraternità saranno legge a tutti gli uomini. Amen!
https://youtu.be/xALv18UYLIQ