Gesù è a Nazareth, dove è conosciuto nella sua dimensione più umana: colui che altrove è un rabbi, un profeta che parla con autorevolezza inaudita, un taumaturgo di rara efficacia, qui nella sua città è il “figlio di Giuseppe il carpentiere”, qui vive la sua parentela più stretta (cf. Mc 6,3-4), qui l’eco dei suoi miracoli suscita invidia o sarcasmo… Eppure un pugno di persone, gli amici di un paralitico, decidono di non lasciare nulla di intentato per prendersi cura di chi hanno a cuore: sfidano scetticismo e pregiudizi e arrivano fino a Gesù, portando su un lettuccio il loro amico, la sua menomazione e la comune speranza di guarigione.
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Gesù non esita un istante: riconosce la fede di quei barellieri e annuncia ciò che da essa scaturisce, il perdono dei peccati, quel perdono che solo può ridare vita piena a una persona. Ora, questo germe di vita nuova immesso là dove un corpo era paralizzato disturba gli uomini religiosi, abituati a guardare ai propri simili solo per coglierli in fallo, per riaffermare la propria autorità nel sancire cosa è secondo Dio e cosa è bestemmia.
Tuttavia il “coraggio” che Gesù ha infuso nel paralitico non è dote degli scribi: la loro sentenza di condanna, infatti, non è proclamata ad alta voce, bensì mormorata nel cuore, là dove loro custodiscono “cose malvagie”, là dove non lasciano entrare la forza trasformante del perdono.
Allora Gesù è obbligato a usare il linguaggio esplicito che passa attraverso il corpo, il linguaggio universale di un corpo risanato, di una paralisi sciolta, di una dignità umana ristabilita nel poter stare ritti in piedi e camminare. Il perdono dei peccati è miracolo della fede più grande della guarigione di uno storpio, eppure è il paralitico che cammina la testimonianza credibile che il peccato non paralizza più l’essere umano se la fede in Gesù innesca il perdono gratuito.
Così le folle – che vedono Gesù e temono Dio all’opera in lui – non covano giudizi malvagi nel loro cuore, ma proclamano a gran voce la gloria di Dio manifestata nell’uomo vivente. Il potere di perdonare i peccati è stato affidato a noi umani: è questa l’autentica gloria resa a Dio. In Gesù le folle di Nazareth hanno potuto vedere che un uomo come loro, il compaesano figlio del falegname, ha un potere che ciascuno di loro ha tra le mani e può esercitare: quello di rimettere i peccati.
Questo “potere sulla terra di perdonare i peccati” è quello che esplicitamente Gesù lascerà ai suoi discepoli assieme allo Spirito santo (cf. Gv 20,22-23), è la responsabilità più grande affidata a noi esseri umani: sottrarci all’esercizio di questo potere a servizio degli altri significa rinchiuderci nella prigione asfissiante del risentimento, significa condannarci alla paralisi della mancata solidarietà, significa chiudere a noi stessi l’accesso alla comunione con il Signore, venuto a perdonare i peccati, fattosi uno di noi per i malati e non per i sani.
Davvero grande il potere affidato da Dio agli uomini, davvero grande il tesoro ricevuto di cui dovremo rendere conto: nella nostra vita facciamo spazio al perdono?
fratel Guido della comunità monastica di Bose
Mt 9, 1-8
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati».
Allora alcuni scribi dissero fra sé: «Costui bestemmia». Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa infatti è più facile: dire “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? Ma, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati: Àlzati – disse allora al paralitico –, prendi il tuo letto e va’ a casa tua». Ed egli si alzò e andò a casa sua.
Le folle, vedendo questo, furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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