Dopo la celebrazione liturgica nei giorni scorsi della solennità dei santi Pietro e Paolo e della festa del Collegio apostolico, oggi facciamo memoria ancora una volta di un amico e discepolo di Gesù, testimone insieme agli altri apostoli della sua risurrezione. È Tommaso, che compare discretamente nelle liste dei nomi dei dodici apostoli nei vangeli sinottici, e che l’evangelista Giovanni ci presenta con le sue tinte caravaggiesche, come un nostro fratello “gemello” – Didimo – nell’esuberanza febbrile e passionale, nella ricerca ansimante della verità, nell’inquietudine, nella doppiezza, nel dubbio, nella titubanza.
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Dapprima un sussulto, una folgorazione, una proclamazione di spregiudicata immolazione con annessa sete di gloria capace di trascinare tutti i “condiscepoli” a Gerusalemme, dopo il desiderio del Maestro di andare a risvegliare l’amico Lazzaro: “Andiamo anche noi a morire con lui!” (Gv 11,16). Poi, dopo la morte violenta di Gesù, il posto vuoto nel cenacolo “la sera di quel giorno, il primo della settimana” (Gv 20,19).
Durante l’ultima cena aveva chiesto a Gesù: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?” (Gv 14,5). Ora la via abbozzata dalla vita “compiuta” da Gesù gli sembra spaventosamente sbarrata dalla menzogna di una società ingiusta e franata nella pena capitale che genera terrore. Tommaso è assente. È solo con i suoi pensieri, i suoi rimpianti, i suoi rimorsi.
“Abbiamo visto il Signore!” (Gv 20,25) è il fulmine definitivo che lo scaraventa precipitosamente negli abissi interiori. A quel sussurro di gioia dei suoi compagni, riavvolge il nastro degli anni passati insieme, indossa la gelida maschera dell’incredulità, si fa paladino di una religione fai da te, si rinchiude nei meandri solitari di un mondo senza volti, rinnega la potenza di quella prima persona plurale plasmata pochi giorni prima e dà spazio al pronome che rigetta ogni alterità vera: “Se non vedo … io non credo” (Gv 20,25).
Lo aspetta ancora una settimana lunga, lunghissima. Poi l’irruzione del Risorto genererà in lui uno slancio di fede indicibile, gli farà comprendere che l’esperienza della resurrezione passa necessariamente attraverso la comunità riunita, l’annuncio della pace è possibile solo nella condivisione di pane, parola e lacrime, l’incontro faccia a faccia con Gesù Signore è reiterato nella logica di una comunità che resiste, vive di perdono senza misura, lotta e spera contro ogni speranza. L’io orfano di relazione accoglie il tu di Dio che si rivela nello stupore di una presenza altra: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28).
La testimonianza di Tommaso ci aiuti ad abbandonare la logica del puntare un dito verso il diverso e mettere l’altro dito nelle piaghe di chi ci sta accanto, ci doni la forza di gesti audaci di perdono e dita capaci di tracciare progetti di speranza, mani pronte a fasciare le ferite delle persone a noi prossime. La sua vicenda passionale ci ridesti dagli atoni assopimenti spiritualistici, la sua breve e incandescente esclamazione di fede scardini i nostri facili e freddi teologismi, la sua esperienza di amico di Gesù Signore risorto arrechi consolazione, forza e coraggio nei momenti della prova.
fratel Giandomenico della comunità monastica di Bose
Gv 20, 24-29
Dal Vangelo secondo Giovanni
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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