GEMELLI DI CRISTO COME TOMMASO TOCCHIAMO NELLA CHIESA LE SUE PIAGHE DOVE NASCE, CRESCE E SI FONDA LA FEDE
Di Gesù Tommaso aveva un’esperienza più viva e familiare delle altre, un ricordo più fresco, tanto intenso e struggente da fargli sanguinare il cuore dal dolore. Aveva l’esperienza delle sue ferite: lo aveva visto mentre lo inchiodavano alla croce; lo aveva contemplato, forse impaurito e da lontano, mentre pendeva agonizzante da quel legno. Probabilmente le aveva anche toccate, accarezzate, baciate; forse aveva intinto il lembo del suo mantello nel loro sangue.
Insomma, per Tommaso Gesù era il suo Maestro crocifisso; per credere, per uscire dall’immaginazione, aveva bisogno di quel segno concreto, l’unico che poteva riconoscere. Di più: Tommaso era chiamato “Didimo”, che significa “gemello”. Dunque, Tommaso stava cercando, come tutti i gemelli quando si separano dal fratello, la parte di sé che gli era venuta meno! Cercava un segno nelle piaghe di Gesù, perché cercava un senso alle sue ferite, al dolore della sua vita. mosso dalla relazione nella carne con Gesù, il primo impulso, istintivo, era andato a cercare il suo gemello, l’unica parte di sé che poteva dare compimento e completezza alla sua vita; ma lo era andato a cercare lontano dalla verità , paradossalmente, proprio lontano dalla carne di Gesù, dal corpo di Cristo che è vivo nella comunione della Chiesa, la comunità dei suoi fratelli.
Forse era andato a cercarlo alla tomba, come la Maddalena, laddove i suoi occhi lo avevano visto deporre; forse non si rassegnava a vedere la carne della propria carne scendere e marcire in un sepolcro; forse Tommaso, come noi, stava rovistando tra le speranze deluse, i progetti restati in sospeso, le zone oscure del passato dove si è sbagliato qualcosa; forse Tommaso cercava la pace tra i sensi di colpa mai sopiti, tra le angosce di quella relazione così importante ma scivolata via senza poterci fare nulla. O forse voleva un rapporto diverso ed esclusivo, forse desiderava seguire il suo istinto, gli schemi che seguono gli affetti carnali; forse voleva, semplicemente, restare solo a piangere il suo dolore.Â
Ma la sua relazione con il Maestro era stata anche qualcosa di più; lo aveva sentito vibrare nell’anima il suo amore soprannaturale, ne aveva percepito la tenerezza, e questa memoria mai sopita, come quella del figlio prodigo, lo ha spinto a tornare nel luogo dove ancora non lo aveva cercato. Qualcosa lo aveva attirato nella stanza dove aveva ricevuto dalle sue mani il suo corpo e il suo sangue; in quell’intimità che solo si sperimenta nella comunione con i fratelli. E Gesù, che non lo ha mai considerato perduto, lo viene a cercare; torna dopo un settimana, come torna in ogni giorno nel quale la Chiesa fa memoria della sua resurrezione.
Torna per lui, assecondando con tenerezza infinita quel bisogno affettivo che, sempre, muove gli uomini verso di Lui. Il vuoto di una vita fallimentare, un matrimonio che sta andando a rotoli, una malattia, l’incompiutezza della vita sono i pertugi che Dio scava nella roccia dura dell’orgoglio. Da essi parte il cammino di ritorno, la conversione. Anche noi, spesso, dimentichiamo che l’unico luogo dove ricevere la virtù soprannaturale della fede, dove toccare e vedere Cristo risorto, dove sperimentare il suo amore più forte della morte, è la Chiesa, la comunità . Gesù, infatti, non dice che la fede è un salto nel buio.
Altrimenti, perché avrebbe fondato la Chiesa? Essa è, nel mondo, proprio il suo corpo risorto offerto come segno perché il mondo possa credere. Il Signore, infatti, ama Tommaso, e ama noi. E ci attende con pazienza, e viene a cercarci ancora. Anche i momenti in cui ci siamo allontanati e abbiamo preferito la solitudine dell’orgoglio o del dolore, anche quelli infilati nel buio più oscuro, sono fecondi e preparano all’incontro decisivo che muove alla professione di fede più bella. Anche noi, anche tuo figlio e il tuo amico, anche l’uomo più lontano sta cercando il Signore! E può tornare come Tommaso attirato dall’annuncio dei suoi fratelli.
Egli, anche se balbettando e ponendo condizioni, ha prestato un po’ di fede alle parole dei suoi fratelli, e ora è lì, nella sua comunità . E tanto basta, e questo è tutto. Perché Gesù torna sempre dai suoi, e cerca Tommaso, e accetta ogni sua condizione! Gesù accoglie anche le nostre, anche quelle di ogni uomo, dei più piccoli e deboli, dei più grandi peccatori, e si fa carne, storia, vita dentro le nostre ore, e schiude le sue ferite, la sua misericordia, perché tutti le possiamo toccare. Gesù ha pazienza e, come un fratello maggiore, ci prende per mano e, nella Chiesa Madre e Maestra, ci insegna a camminare con la Parola e i Sacramenti, per “diventare”, passo dopo passo nel catecumenato di conversione, “un credente”, uno che, in ogni circostanza, vive appoggiato al suo amore incorruttibile.
Nella Chiesa, infatti, possiamo fare l’esperienza della misericordia, del perdono che nulla esige e sa ricreare un uomo nuovo nella carne debole e vacillante. E’ necessaria la scintilla che solo l’amore di Dio rivelato in Cristo e sigillato dallo Spirito Santo – quello che mancava a Tommaso perché assente la sera di Pasqua – può far scoccare nell’anima: allora, come San Paolo, la “conoscenza” di Cristo non sarà più secondo la carne. per resistere al pericolo che anche la fede divenga uno struggente ricordo, occorre lasciarsi crocifiggere con Cristo, per restare ben piantati con Lui nella storia, e vivere, pur non “sentendo” nulla, anche senza consolazioni, appoggiati al mistero del suo amore, spesso invisibile ma sempre all’opera.
Quando l’altro ci offre la morte, quando la storia si apre come un abisso di delusione e solitudine, ci salva la comunità , il cenacolo dove toccare Cristo e imparare la fede. In essa possiamo allineare i memoriali su cui costruire, come sulla roccia, la nostra casa, capace di resistere alle tempeste e ai terremoti. Così potremo giungere alla fede adulta, la fede di Tommaso cresciuta nella sua comunità , alla presenza di Cristo risorto. E, come Lui, potremo riconoscere “il nostro Signore e il nostro Dio” nelle nostre stesse piaghe, nelle ferite della nostra vita dove non si “vede” altro che morte: per “credere” ogni giorno che nella Croce è nascosta la gloria, nella storia l’onnipotenza di Dio, nella nostra vita la signoria di Cristo.
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
Gv 20, 24-29
Dal Vangelo secondo Giovanni
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.