don Paolo Scquizzato – Il Padre Nostro

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Il “Padre nostro” è presente nel Nuovo Testamento in due tradizioni diverse: una riportata da Matteo e una da Luca. Quella che usiamo e che troviamo anche nella Messa l’abbiamo ereditata da Matteo ed è la forma più lunga.

Leggiamo Mt 6, 7-1

“Pregando non sprecate parole come i pagani; essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.

Dunque pregate così: Padre nostro…”

Padre

Quando entrate in relazione con Dio, dite “Padre” e già su questo potremmo fermarci…un mese! Gesù dice che per noi che lo preghiamo Dio è Padre.

In questi mesi abbiamo imparato che il Vangelo non ricorda ciò che io devo fare per Dio, ma piuttosto ciò che Dio compie per me.

Possiamo dire che il Vangelo rivela la Sua e la nostra verità e il Padre nostro è un concentrato di Vangelo perché insegnando questa preghiera Gesù ci rivela chi è Dio per noi. Col Padre nostro diciamo: “Tu Dio sei l’Amore che ha cura di me (Padre), io sono l’amato che ricevo il tuo amore (figlio)”.

Il Padre Nostro è una scuola di verità, non è una preghiera di invocazione ma di rivelazione; diciamo la verità su Dio e su noi stessi.

Iniziare la preghiera con la parola Padre significa affermare che la preghiera nasce dalla vita. Gesù sulla croce dirà: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46).

Gesù nel momento più drammatico, quando sa che tutto sta andando verso il peggio, quando si è sentito abbandonato anche dal Padre, con grande paura riesce dire “Padre, nelle tue mani…”. Gesù è lì che ha imparato a riferirsi a Dio, è lì che ha scoperto in pienezza chi è Dio! Nel momento più drammatico dell’abbandono. Sappiamo che Gesù usa la parola “Abbà” che significa papà, paparino solo in un altro contesto drammatico: nel giardino del Getsemani: “E diceva: Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu!” (Mc 14,36).

Imparare a conoscere, a sperimentare a pregare Dio come Padre, lo si impara dalla vita.

Dire che Dio è Padre quando siamo nelle nostre comode case, in contesti molto tranquilli, quando tutto va bene… lascia un po’ il tempo che trova. Allora facciamoci questa domanda: chi è Dio per me nei momenti più drammatici? Chi sarà Dio per noi quando tutto sembrerà abbandono, notte, buio? E’ qui che “scatta qualcosa”.

Aver fede in Dio significherà accettare di restargli fedeli costi quel che costi, perché l’ho riconosciuto come Padre e il Padre non abbandona i suoi figli.

La preghiera si gioca nella fede e la fede si gioca nei momenti più tremendi della nostra vita.

Nel contesto culturale e religioso del tempo di Gesù, ogni maestro insegnava una preghiera ai suoi discepoli tanto che ad un certo punto i discepoli si rivolgono a Gesù e gli chiedono di insegnar loro a pregare (Lc 11,1).

Allora Gesù dice: “Voi, quando pregate dite…”.

Perché dice questo voi? E’ come dire: voi che vi considerate tutti fratelli, quando pregate Dio dovete soltanto chiamarlo Padre.

Per voi Dio è Padre. Alla scuola di Gesù non si impara tanto a chiedere , ma come essere, come vivere. Ci viene insegnato chi siamo quando ci rivolgiamo a Dio: Siamo anzitutto figli, quindi fratelli tra noi e di conseguenza non possiamo che chiamare Dio Padre. Ma se non ci riconosciamo figli e non viviamo da fratelli, è inutile chiamare Dio Padre!

Nostro

Non è un aggettivo possessivo, bensì relazionale.

I cristiani dicono nostro ma non perché credono di avere un Dio tutto per loro!

Dire “Dio è nostro” e gli altri…si arrangino”, vuol già dire falsificare l’immagine di Dio. Nostro vuol dire che Dio è Padre di tutti gli uomini, ma proprio di tutti anche del malvagio, anche di colui che odio.

Mt 5,44s: 2Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra gli ingiusti”.

Dire nostro vuol dire percepire che sotto questo unico cielo, io e mio fratello siamo tutti scaldati dal medesimo sole, e bagnati dalla medesima pioggia di benedizione.

Se per me c’è uno che non è mio fratello, lasciamo perdere di chiamare Dio Padre!

Dio ama tutti. Malvagi e santi allo stesso modo.

Dio è il Dio dei poveri, dei carcerati, dei profughi, degli immigrati, dei rom… Come si fa a non riconoscere l’altro e poi chiamare Dio Padre?

Per noi cristiani c’è un’unica grande famiglia. Questo supera anche i legami di sangue.

La fraternità, la comunione è il luogo della presenza di Dio.

La luce per vedere e riconoscere Dio ci proviene dall’aver illuminato i fratelli.

Che sei nei cieli

Il 12 aprile 1961 Jurij Alekseevic Gagarin viene lanciato nello spazio. Gli chiedono se lassù vede Dio, la risposta è: “Non vedo nessun Dio quassù”.

Sembra una battuta ma la cosa è profonda! Noi continuiamo a dire “Padre nostro che sei nei cieli”. Cosa intendiamo quando diciamo “nei cieli?”.

Silesius, mistico tedesco del seicento scrive: “Fermati, dove corri? Il cielo è dentro di te! Se cerchi Dio altrove, lo perdi sempre di più”.

Con l’incarnazione è successo qualcosa; si sono capovolte le prospettive. La carne dell’uomo è diventata il cielo di Dio. Dio, che neanche i cieli potevano contenere, si è fatto carne.

Ora ogni pugno di carne è diventato cielo di Dio.

Il luogo di Dio è l’uomo. Io sono il cielo di Dio; i poveri sono il cielo di Dio.

Se vogliamo incontrare Dio non dobbiamo alzare gli occhi al cielo, dobbiamo prenderci cura delle carni. Dobbiamo cominciare ad entrare dentro di noi.

Se vogliamo incontrare il nostro Dio, non occorre più salire al cielo, ma prenderci cura del fratello che è caduto all’inferno.

Stiamo attenti. Dire “che sei nei cieli” vuol dire che mi è intimissimo ma al tempo stesso indisponibile. Dio è sempre oltre ogni mio pensiero, immaginazione, idea!

A quale cielo è asceso Gesù? Le nuvole? No.

Con l’ascensione si è verificato il passaggio dal Dio con noi al Dio in noi.

Sia santificato il tuo nome

Per comprendere questa invocazione dobbiamo recuperare cos’era il nome al tempo di Gesù. Il nome era la persona stessa. Dire il nome è dire l’essenza della persona.

Gesù ha fatto conoscere l’autentico nome di Dio. “Dio è amore” (1Gv 4,8)

Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini” (Gv 17,6). E sulla croce si realizzerà ciò compiutamente.

Ma cosa significa santificare il suo nome?

Essenzialmente due cose:

–    Santo significa altro, separato da, diverso da. Santificare dunque significa non usare e abusare a proprio vantaggio il suo nome. Non servirsene.

E’ la coronazione neo-testamentaria del comandamento “Non pronunciare il nome di Dio invano”.

Noi ci siamo serviti del nome di Dio, della sua essenza per fare le crociate, le guerre sante sono state fatte in nome di Dio! Questo non può avvenire! Non posso usare del nome di Dio per i miei scopi; non possiamo schiacciare le persone, caricarle di pesi insopportabili in nome di Dio! Oggi non facciamo più crociate ma continuiamo ad ingerirci tantissimo nelle vicende del mondo e questo non è santificare il nome di Dio.

Il nome di Dio è solo uno: Amore. E dato che l’amore è relazione, sarà santificato il nome di Dio ogni volta che vivo l’amore.

Santifico il nome di Dio impegnandomi ad amare nell’oggi i fratelli, non moltiplicando le preghiere.

Nel nome di Dio Mosè deve andare a liberare i suoi fratelli dalla schiavitù (Es. 3,14)

Qui abbiamo la prima rivelazione del nome di Dio: “Io sono colui che sono” (cioè io sono colui che è a favore di…). Mosè nel nome di Dio va a liberare i fratelli dall’inferno.

Se c’è un mio fratello che è schiacciato, santifico il nome di Dio prendendomi cura di lui.

Santifichiamo il nome di Dio quando con la nostra vita, con la nostra azione solidale, contribuiamo a costruire relazioni umane più giuste e più sante che eliminano la violenza e lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Dio è sempre profanato quando si profana la sua immagine e somiglianza che è l’essere umano; ed è sempre santificato quando s i restituisce la dignità umana a chi ne è spogliato ed è oppresso.
(Leonardo Boff, “Padre nostro”)

Il nome di Dio è santificato quando l’uomo è rialzato da terra, ripulito, amato.

Pregare il Padre nostro ci impegna concretamente… perché noi rischiamo di santificare Dio in un’Ostia sull’altare e di bestemmiarlo nelle persone.

Che senso ha un Dio adorato sull’altare e maciullato nei fratelli? C’è più Dio in un’Ostia o in un uomo?

Prima di essersi fatto Ostia, Dio si è fatto carne.

Venga il tuo Regno

E’ interessante notare come nel Padre Nostro una parola ne illumini un’altra.

“Venga il tuo Regno” non fa altro che esplicare tutto quello che abbiamo detto prima. Il tema centrale della predicazione di Gesù è la venuta del Regno di Dio.

In più passi, quando Gesù parla del Regno, lo identifica con un cambiamento dei rapporti sociali:

Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete. I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo” (Mt 11,4s.).

Là dove regna Dio, ossia dove si instaura il Regno di Dio, c’è guarigione, perdono, redenzione, possibilità dell’uomo di vivere secondo il suo vero essere.

Si instaura il Regno di Dio ogni volta che l’uomo risuscita. E risuscitare non vuol dire tirare fuori dalla tomba… ma ridare vita a chi si sente “morto”. Ci sono situazioni esistenziali che fanno vivere da morto e risuscitare è ridare pienezza di vita.

Cosa vorrà allora dire “venga il tuo Regno”?

Non è certo aspettare che cada dal cielo! No. Ma è instaurare il suo Regno oggi, qui cominciando a rialzare chi è schiacciato a terra (risuscitare i morti), a ridare parola a chi è sempre stata tolta (far parlare i muti), a dire parole sensate (far udire i sordi), a togliere le persone da situazioni di fango, di povertà, dai sepolcri esistenziali… ecco, questo vuol dire instaurare il Regno!

Pensate ad un carcere; di per sé è un inferno, ma ci sono volontari che cercano di creare oasi di pace, di recupero e ogni volta che in un ambiente infernale si getta un po’ di luce, lì si sta instaurando il Regno di Dio.

Pensate ad un ospedale, al reparto oncologico: qui c’è il male incomprensibile per eccellenza! Eppure, quanto volontariato, quanta gente che si prodiga a creare spazi di benessere, di serenità: quello è il Regno di Dio!

Una Lampedusa che si fa in quattro per accogliere – malgrado l’indifferenza – i profughi ogni notte: quello è il Regno di Dio!

Ogni volta che nel nostro piccolo facciamo del bene, noi stiamo instaurando il Regno di Dio.

“Lo Spirito mi ha preso e mi ha mandato per annunciare gioia, per liberare, per dare luce, per portare liberazione” (Lc 4,18s.)

Ecco i quattro perché del Dio incarnato: gioia, luminosità, libertà, liberazione.

Sia fatta la tua volontà

Arriviamo ad una invocazione un po’ “pericolosa”, la si recita con un po’ di timore… “sia fatta la tua volontà ma speriamo almeno che sia buona!”, chissà cosa può succederci!

E’ il pericolo di chi ha avuto padri o madri direttivi, molto rigidi ed è cresciuto facendo la “loro volontà”, magari rovinandosi anche la vita.

Come siamo soliti fare rischiamo di proiettare ciò che avviene a livello antropologico su Dio: Dio è il grande genitore che vuole fare la sua volontà e noi dobbiamo accettarla.

Soprattutto in ambito religioso questo è pericolosissimo. Sembra quasi che la volontà di Dio sia in cielo e io che sono qua devo fare quello che Lui pensa per me.

Questa non è la volontà di Dio, questa è l’immagine del genitore.

Il greco ci viene in aiuto: volontà si dice telema che deriva dalla parola fine, compimento. Allora qual è la volontà di Dio? Che io mi compia! Che io giunga alla pienezza della mia persona; in una parola: che io sia felice.

Questa è l’unica volontà di Dio.

Ogni modalità che io scelgo e che credo possa compiermi, questa è volontà di Dio.

Stiamo attenti a non cadere nel tranello che ci sia una volontà di Dio in cielo che io devo vivere di qua.

Sia fatta la tua volontà cioè mi impegno, con la tua grazia, col tuo aiuto a compiermi in pienezza e a far sì che tutti quelli che mi stanno accanto possano compiersi.

Io sono un seme e la volontà di Dio è che io sbocci, che possa spalancarmi alla vita in pienezza.

Dalla Genesi all’Apocalisse (cioè in tutta la Bibbia) c’è una sola volontà di Dio che viene racchiusa in una bellissima parola: “Facciamo l’uomo” (Gn 1,26).

Volontà di Dio è che finalmente l’uomo venga fuori, torni “a casa”, si compia per ciò che deve essere. In ultima analisi è vittoria su tutte le solitudini.

“Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1Ts 4,3)

Cos’è la santità? E’ l’uomo maturo, l’uomo compiuto. (Nulla ha a che fare con la moralità). La volontà di Dio in noi, se compiuta, produrrà solo pace, gioia, serenità. Quindi invocare sia fatta la tua volontà vorrà dire “agisci in me, Signore, affinché io mi possa espropriare sempre più del mio ego, e possa diventare sempre più me stesso”.

La volontà di Dio sarà compiuta quando tutti i suoi figli potranno giungere alla felicità. Tutti!

Come in cielo così in terra

Giovanni Crisostomo afferma:

“Dio dice: io ho creato cielo e terra. Anche a te do forza creatrice, fa sì che la terra diventi cielo; tu infatti lo puoi”.

La nostra vocazione è diventare felici, compierci , in modo da trasformare, trasfigurare la terra in paradiso.

Ma come facciamo a far sì che la terra diventi cielo? Dove possiamo prendere il modello?

Dobbiamo guardare al mondo di Dio per trasfigurare il mondo degli uomini.

Per valutare nel modo giusto le cose del mondo, il cristiano non desume i suoi criteri valutativi dal mondo stesso, ma dal Regno di Dio. Nella logica di Dio, nel Vangelo sta la chiave di metodo per lavorare su questo mondo.

Non certo nel mondo dove vige solo l’avere, il potere, il successo!

Il Regno di Gesù è qui, nel mondo, ma la sua origine è altrove. Il cristiano vive sì nel mondo, ma mutua le regole del proprio vivere dal Regno di Dio.

Padre nostro che sei nei cieli, santo è il tuo nome, il tuo regno viene,
la tua volontà si compie nella terra come nel cielo. Tu doni a noi il pane di oggi e di domani.
Tu perdoni i nostri debiti nell’istante in cui li perdoniamo ai nostri
debitori

Tu non ci induci in tentazione ma, nella tentazione,
tu ci liberi dal male.

(Giovanni Vannucci)

Padre mio, io mi abbandono a Te, fa di me ciò che ti piace.

Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto,

purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature:

non desidero altro, mio Dio Rimetto l’anima nelle tue mani, te la dono, mio Dio,

con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo.

E’ per me un’esigenza di amore, il donarmi a Te,

l’affidarmi alle tue mani, senza misura, con infinita fiducia:

perché   Tu sei il mio Padre!” Amen.

 

(Charles De Foucauld)