Il commento alle letture del 10 Marzo 2018 a cura di Mons. Costantino Di Bruno, Sacerdote Diocesano dell’Arcidiocesi di Catanzaro–Squillace (CZ).
UNO ERA FARISEO E L’ALTRO PUBBLICANO
Il fariseo è il perfetto idolatra. Lui si è costruito il suo Dio, la sua verità, la sua legge, la sua santità, le sue regole di giustizia. Abita in una torre d’avorio, nella quale nessuno mai potrà entrare. Da questa torre giudica ogni uomo non degno del suo Dio, che altro non è che il suo pensiero. Quest’uomo non sa che la vera religione non inizia con il capitolo primo e secondo della Genesi, ma con il terzo, quando Dio vive la miseria di morte nella quale la sua creatura si era inabissata e decise di risollevarla. Quest’uomo neanche conosce la tenerezza di quel Dio che mai abbandona la sua sposa infedele, ma sempre va alla sua ricerca per offrirle nuovamente tutto il suo amore.
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Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,8-15).
Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto. E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai: “Marito mio”, e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”. Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal e non saranno più chiamati per nome. In quel tempo farò per loro un’alleanza con gli animali selvatici e gli uccelli del cielo e i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dal paese, e li farò riposare tranquilli. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà al grano, al vino nuovo e all’olio e questi risponderanno a Izreèl. Io li seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-amata, e a Non-popolo-mio dirò: “Popolo mio”, ed egli mi dirà: “Dio mio”» (Os 2,16-25).
Tra il Dio costruito e fabbricato dal fariseo e il Dio dei profeti vi è la stessa differenza che regna tra la luce e le tenebre. Il pubblicano è invece la sposa infedele. Si reca dal suo Signore e chiede di essere almeno perdonato dal suo peccato. Lui è stato infedele. Ma ora vuole ritornare ad una fedeltà grande. Potrà il Signore non ascoltare questo grido di pentimento e questa volontà di totale ritorno a Lui? Se tutta l’Antica Scrittura è un grido di Dio alla sua sposa perché torni, ora che è tornata la manderà via?
Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Fabbricarsi un proprio Dio è tentazione perenne nell’uomo. Cosa ci rivela con assoluta verità se il nostro è un Dio fabbricato da noi? Non è di per sé il perdono, ma la volontà di espiare il peccato dell’altro. Il non perdono ci dice che siamo ancora nell’idolatria. La volontà di espiare i peccati in Cristo, con Cristo, per Cristo, mostra la verità del nostro Cristo e di conseguenza anche la verità del Dio che è il Padre del nostro Signore Gesù.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci dalla verità di Cristo
LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
Lc 18, 9-14
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.