Paolo Curtaz – Sul dolore

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Mi stupisco sempre nel vedere tanta gente ad ascoltare una riflessione sul tema del dolore. Ci scherzo anche: quale masochistica ragione vi ha spinti, stasera, ad uscire di casa per ascoltare uno che parla della sofferenza?

La conosco la risposta: il bisogno di capire.

Il tema è uno di quelli che più mi mette a disagio. Ascolto ciò che dico e, soprattutto, ascolto ciò che ci dice la Parola. Confermo che sono piuttosto bravo e convincente nella teoria, decisamente meno nella pratica.

Ma via, è andata, lo Spirito ha in qualche modo preso le mie parole e le ha depositate nel cuore dei presenti. Se anche solo una persona è tornata a casa con un po’ di luce in più ne è valsa la pena.

Stanco, svuotato, accolgo le persone che vogliono salutarmi, stringermi la mano, farsi firmare un libro. Sorrido, ascolto, poche battute, “buona vita”.

Come prevedibile arrivano anche le storie-macigno: genitori che hanno perso i figli, i mariti, mamme che accudiscono bambini allo stato vegetativo. Ascolto, lascio una carezza, prometto una piccola preghiera.

Fosse qui, ora, quel Nazareno che spalancava la speranza e liberava l’anima!

Un ultimo signore mi aspetta. Si presenta e mi dice che fa volontariato negli ospedali per far ridere i bambini. Mi mette in mano qualcosa: un naso finto da pagliaccio. Un regalo per me.

Dice che il suo lo tiene sempre in tasca e quando cede alla lamentazione e al vittimismo lo cerca, come se fosse un promemoria. Non per pensare alle disgrazie altrui e sentirsi fortunato, no, certo. Ma per misurare la propria vita in un ordine di grandezza diverso.

Fare memoria dell’immensa fragilità che siamo.

E della capacità di ridere nelle tragedie, come ci insegnano in bambini ammalati.

Bella lezione.

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