Commento al Vangelo del 11 febbraio 2018 – Padre Giulio Michelini

Siamo davanti al primo miracolo di guarigione compiutamente narrato dall’evangelista. Ci sono ue persone una di fronte all’altra. Anche nell’esposizione del dialogo vi è una corrispondenza quasi perfettamente speculare. Anziché gridare “impuro, impuro” (Lv 13,45), il lebbroso «supplica» e Gesù «si commuove» (o forse, come si dirà meglio sotto, «si adira»). Il lebbroso esprime fisicamente la sua preghiera («in ginocchio», «gettandosi a terra») e Gesù, con un gesto fisico («stese la mano, lo toccò») lo purifica. Le parole del lebbroso («“Se vuoi, puoi purificarmi”») sono riprese nell’ordine da Gesù: «dice ad esso: “Lo voglio, sii purificato”».

Il lebbroso è presentato solo attraverso la sua malattia, non ha un nome: è un lebbroso e ciò lo definisce. Questa parola terribile è ancor più rafforzata nel suo spessore di significato mediante la prima azione che il lebbroso compie: come se fosse detto da Marco solo di passaggio, il lebbroso viene da Gesù. Nonostante l’apparente semplicità della scena, il racconto ha provocato tante discussioni sia a causa della tradizione testuale, sia per il suo reale significato: si tratta di una guarigione o di una purificazione?

Anzitutto, la malattia. Il termine lebbra copre nella Bibbia un’ampia quantità di malattie e affezioni cutanee e anche impurità di oggetti (tessuti) o muffe delle case, secondo l’elenco di Lv 13-14. Sembra che la vera e propria “malattia di Hansen” non esistesse nel vicino oriente antico al tempo in cui fu scritto il libro del Levitico, ma è possibile invece che al tempo di Gesù il lessema greco lepra potesse significare anche quella malattia, attestata in Israele dal periodo ellenistico.

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Nella nuova versione CEI Gesù «purifica» il lebbroso, mentre in quella precedente veniva guarito. Ma la questione più interessante è quella della presenza di una variante testuale nel versetto 1,41, nella quale si legge che Gesù si indignò alla richiesta del lebbroso. La variante è testimoniata dal codice D (Bezae), copiato all’incirca nel 400 d.C. (forse a Beirut, o ad Antiochia o a Efeso da un giudeo-cristiano che copia sia in greco che in latino), e testimoniata anche da alcuni manoscritti paleolatini e da Efrem. La questione di questa variante è stata oggetto di ampia ricerca, ed anche divulgata recentemente da Bart D. Ehrman, per il quale qui si avrebbe a che fare con una voluta alterazione della lezione originale a fini apologetici: il testo originale marciano sarebbe quello trasmesso dal Bezae, per il quale Gesù si sarebbe alterato.

Ma perché Gesù si dovrebbe adirare anziché commuovere? E contro chi? Diverse le letture avanzate; ad es., l’ira di Gesù si riferirebbe: «all’atrocità della distretta dell’infermo che contraddice all’originaria volontà creatrice di Dio allo stesso modo delle possessioni demoniache. Se le cose stanno così, anche in questo caso il movente della guarigione non è la compassione di Gesù, ma il più ampio contesto della sua volontà di lottare contro tutto quello che è contrario a Dio: essa rivela la particolare autorità di Gesù» (E. Schweizer); di questo parere, oltre a Schweitzer, Taylor, Grundmann, Kertelge, Cave (per questi, la ragione ultima starebbe nel fatto che «la storia esisteva un tempo in una forma diversa da quella di una purificazione miracolosa»); per altri, invece, Gesù si sarebbe adirato contro il potere del male, così come quando geme in Mc 7,34 prima di guarire il sordo (R. Guelich); per altri ancora, l’ira di Gesù sarebbe contro il lebbroso che viola la Legge di Mosè avvicinandosi a lui e contaminandolo (ma questa ipotesi non regge perché Gesù tocca subito dopo il lebbroso e lo purifica). Per altri ancora, Gesù si adirerebbe col lebbroso perché questi dubita che Gesù lo voglia guarire (“Se vuoi?”), mentre tra le ultimi ipotesi in ordine di tempo è di R.T. France: «Gesù si adira per la sofferenza causata da questa malattia, sofferenza fisica e sociale, e che muove Gesù non solo a compassione, ma anche all’ira per la presenza di tale male nel mondo; forse anche per la spietatezza del tabù: che l’ira non sia diretta al lebbroso, è ovvio dalla risposta di Gesù».

In ogni caso, Gesù mostra di saper vincere l’impurità. Nel suo volume su Il vangelo di Marco e l’impuro, Giovanni Ibba commenta che mentre il sacerdote non può purificare la persona dalla lebbra (vedi quanto Gesù impone al lebbroso guarito, al v. 1,44), ma solo purificare chi è già guarito, qui Gesù sembra proprio guarire il lebbroso. Guarendolo, gli toglie anche l’impurità.

Sullo sfondo di questa pagina vi sono almeno due riferimenti al Primo Testamento: quello del libro del Levitico 13,45-46, dove si leggeva che «Il lebbroso porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento». Soprattutto, torna però alla mente la pagina della guarigione di Namaan il Siro, in 2Re 5. Mentre il Re ed Eliseo rimangono distanti dal lebbroso, qui nel racconto di Marco si legge che Gesù si avvicina a lui e lo tocca.

Ci torna alla mente anche l’incontro di Francesco d’Assisi col lebbroso. Secondo la Leggenda dei Tre Compagni «Un giorno che stava pregando fervidamente il Signore, sentì dirsi: “Francesco, se vuoi conoscere la mia volontà, devi disprezzare e odiare tutto quello che mondanamente amavi e bramavi possedere. Quando avrai cominciato a fare così, ti parrà insopportabile e amaro quanto per l’innanzi ti era attraente e dolce; e dalle cose che una volta aborrivi, attingerai dolcezza grande e immensa soavità”. Felice di questa rivelazione e divenuto forte nel Signore, Francesco, mentre un giorno calcava nei paraggi di Assisi, incontrò sulla strada un lebbroso. Di questi infelici egli provava un invincibile ribrezzo; ma stavolta, facendo violenza al proprio istinto, smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro, baciandogli la mano. E ricevendone un bacio di pace, risalì a cavallo e seguitò il suo cammino. Da quel giorno cominciò a svincolarsi dal proprio egoismo, fino al punto di sapersi vincere perfettamente, con l’aiuto di Dio». Ma è nello stesso Testamento che Francesco scrive: «Il Signore concesse a me, frate Francesco, d’incominciare così a far penitenza: poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia».

Il nostro racconto avrà una particolare importanza nella rilettura che ne farà l’evangelista Matteo. Sul piano cristologico, la guarigione del lebbroso è uno dei segni a cui si riferirà Gesù rispondendo all’interpellanza del Battista in Mt 11,5: «i lebbrosi sono guariti»; questo è ancor più importante, se è vero che «un resoconto di una cura miracolosa della lebbra non sembra essere inclusa nei racconti di miracoli giudaici o di pagani giunti a noi dall’antichità. Inoltre, esisteva un’attesa da parte del giudaismo di una purificazione della lebbra nei tempi messianici» (Nolland): non si tratta cioè semplicemente di una questione di una guarigione per la compassione del malato (forse per questo Matteo elimina l’elemento emozionale di Marco – che sia ira o compassione), ma di una questione di purità della terra d’Israele.

Infatti la guarigione dalla malattia è un dono caratteristico dato dalla fedeltà all’alleanza, basato sulla promessa di Dio, secondo quanto detto in Es 23,25-26 («Voi servirete al Signore, vostro Dio. Egli benedirà il tuo pane e la tua acqua. Terrò lontana da te la malattia. Non vi sarà nel tuo paese donna che abortisca o che sia sterile. Ti farò giun­gere al numero completo dei tuoi giorni»), e ripetuto in Dt 7,15 («Il Signore allon­tanerà da te ogni infermità e non manderà su di te alcuna di quelle funeste malattie d’Egitto, che bene conoscesti, ma le manderà a quanti ti odiano»). La condizione perché la promessa del Dt abbia effetto è però che Israele rimanga fedele all’impegno di Dio. È particolarmente espressivo, a riguardo, l’ammonimento in Lv 26,14-15. Dopo aver messo in guardia dalla non osservanza dell’alleanza («Ma se non mi ascolterete e se non metterete in pratica tutti questi comandi, se disprezzerete le mie leggi e rigette­rete le mie prescrizioni, non mettendo in pratica tutti i miei comandi e infrangendo la mia alle­anza»), Dio aggiunge: «manderò contro di voi il terrore, la consunzione e la febbre, che vi faranno languire gli occhi e vi consumeranno la vita» (v. 16). Si tratta del primo di una lunga lista di “segni” e castighi che indicano la ribellione contro l’alleanza (a seguire: la carestia, la sconfitta in guerra contro i nemici, il sopraggiungere di bestie selvati­che, lo sterminio del bestiame, la peste, la distruzione della nazione e la dispersione tra le nazioni), che però non giungono mai all’annientamento completo di Israele (cf. v. 45).

In conclusione, la guarigione del lebbroso sembra essere segno della rinnovazione imminente dell’alleanza, nella quale tutto l’Israele di Dio verrà reintegrato, anche gli esclusi a causa di impurità di qualsiasi genere. Non deve mancare nessuno all’appello: né i dispersi di Israele, né i malati o gli infermi, né coloro che sono impuri. Scrive un commentatore: «Il Messia Gesù ha ristabilito le relazioni rotte, così come i corpi toccati dalla malattia, e ha portato un nuovo popolo di Dio all’esistenza» (Hare).

Un ultimo dettaglio, riguardante la conclusione del brano. Quanto accade al lebbroso dopo il contatto con Gesù è detto semplicemente: «viene purificato». Non sappiamo nulla della sua gioia, piuttosto è la lebbra ad essere soggetto di un verbo: essa «partì da lui». Solo dopo l’ammonimento di Gesù a non rivelare la guarigione apprendiamo che il lebbroso sanato assume il tipico atteggiamento missionario dell’annuncio («cominciò ad annunciare», v. 45) divulgando «la parola», cioè la somma dell’annuncio di Gesù e della Chiesa. Potrebbe essere suggestivo leggere l’effetto della guarigione nel lebbroso e in Gesù: il lebbroso, guarito, può liberamente partire e raggiungere altre persone; Gesù, per contro, deve recarsi in luoghi deserti, «fuori», quasi assumendo su di sé la sorte dell’immondo, costretto proprio a stare «solo, fuori dell’accampamento» (Lv 13,46). Gesù sperimenterà davvero questa condizione, quando finalmente sarà svelato il segreto messianico, e potrà essere proclamato sulla croce «il Figlio di Dio» (Mc 15,39). Lì Gesù, «fuori della porta», patì «per santificare il popolo con il proprio sangue (Eb 13,12).

Il brano di Marco si chiude dicendo che «venivano a (Gesù) da ogni parte». Possiamo allora ascoltare l’autore della lettera agli Ebrei e seguire il suo invito: «Usciamo dunque anche noi dall’accampamento e andiamo verso di lui, portando il suo obbrobrio» (Eb 13,13).

Fonte

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
della VI Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 11 Febbario 2018 anche qui.

Mc 1, 40-45
Dal Vangelo secondo Marco
40Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosé ha prescritto, come testimonianza per loro». 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 11- 17 Febbraio 2018 2018
  • Tempo Ordinario VI
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 2

Fonte: LaSacraBibbia.net

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