Letteralmente natale significa “nascita”. Il 25 dicembre di ogni anno si celebra la nascita di Gesù. Come mai? Lo si festeggia dal giorno in cui è nato?
Gesù nacque quasi certamente nel 6 a. Cr., cioè nell’anno 747 dalla fondazione di Roma. Perché invece nel nostro calendario l’anno della sua nascita risulta l’anno “zero”, o meglio l’anno 1 a. Cr., visto che lo zero non era nemmeno conosciuto in Europa a quell’epoca?
Questo fatto è dovuto a un errore di datazione del monaco Dionigi il Piccolo (6° sec. d. Cr.), che peraltro introdusse in Europa il computo degli anni dalla venuta di Cristo. Una conferma della data di nascita del 6 a. Cr. viene anche dal fatto che proprio tra l’8 e il 6 a. Cr. si ebbe il censimento dell’imperatore Augusto nelle province dell’impero romano; è quello di cui parla l’evangelista Luca quando narra le circostanze in cui Gesù venne al mondo.
Occorre precisare inoltre che il giorno effettivo della nascita non è il 25 dicembre, per le seguenti ragioni.
Anzitutto si può ipotizzare che il viaggio di Giuseppe e Maria per il censimento dell’anno 8-6 a. Cr. non abbia avuto luogo nella stagione invernale per problemi logistici (ruscelli non guadabili, difficoltà per l’addiaccio notturno), ma piuttosto in primavera o estate.
Inoltre il vangelo di Luca dice che la notte in cui nacque Gesù alcuni pastori vegliavano facendo la guardia al loro gregge. Ma in dicembre in Palestina siamo in pieno inverno, con precipitazioni e frequenti gelate, quindi è impossibile che i pastori stessero all’aperto di notte; solo a partire da marzo, con il miglioramento delle condizioni climatiche, essi cominciano a star fuori di notte.
Perché allora si celebra la nascita di Gesù il 25 dicembre? La risposta è complessa, perché per ben tre secoli non ci fu consenso sulla data delle celebrazione nelle varie chiese.
Ma nel 4° sec. avvenne un fatto importante: si diffuse una pericolosa “eresia”; ricordiamo che l’eresia è una dottrina contraria alla verità rivelata da Dio e professata dalla Chiesa. Ora questa eresia, detta ariana (da Ario, che la formulò) sosteneva che Gesù non è realmente Dio; è un uomo eccezionale, una creatura perfetta, ma non è Dio.
Il Concilio di Nicea (325 d. Cr) dichiarò invece solennemente che Gesù è Dio fin dalla sua nascita e stese il “Credo di Nicea” in cui si afferma:”…..Credo in un solo Signore Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio vero da Dio vero”. Ma, nonostante la clamorosa sconfitta, l’eresia ariana continuò a diffondersi.
Così papa Giulio I° (IV° sec.) propose di celebrare la festa della nascita di Gesù, il Bambino-Dio, per riaffermare la verità.
Ma, di fronte alla mancanza di dati certi sulla data della nascita di Gesù, qualcuno (non si sa chi) ebbe un’idea interessante: associare la celebrazione ad un’altra festa molto popolare del folklore romano, chiamata “il giorno del sole invitto= non vinto”, anzi il “Giorno della nascita del Sole Invitto”.
Come era nata questa festa nell’Antico Oriente? E’ noto che nell’emisfero nord, man mano che dicembre (cioè l’inverno) avanza, si accorciano i giorni; l’oscurità si prolunga e il sole diventa sempre più debole e incapace di dissipare il freddo.
Inoltre esso sorge sempre più tardi e tramonta sempre prima. Finché giunge il 21 dicembre, il giorno più corto dell’anno, detto solstizio d’inverno; solstizio viene dal latino solstitium, che significa letteralmente “sole fermo” (dal latino sol, “sole”, e sistere, “stare fermo”).
In quell’occasione la gente primitiva della preistoria si domandava: “Il sole si è fermato. Dunque sparirà? Le tenebre e il freddo avranno la meglio? Triste destino ci attenderebbe in questo caso!”
Invece la realtà è diversa. A partire dal 22 dicembre i giorni cominciano lentamente ad allungarsi. Il sole non è stato vinto dalle tenebre. Occorreva festeggiare l’evento straordinario e così si decise di celebrare la festa del Sole invitto (e della sua nascita) il 25 dicembre, quando la durata del giorno aveva già iniziato ad aumentare e si era certi che avrebbe continuato in tal senso: era la festa del sole sempre rinascente e vincitore delle tenebre.
I cristiani si resero conto che il significato di quella festa poteva ben applicarsi a Colui che era il vero Sole, in senso spirituale. Lo aveva detto il profeta Malachia nel V° secolo a. Cr.: nella pienezza dei tempi “sarebbe sorto con raggi benefici il Sole di Giustizia” (Mal.3,20); anche l’evangelista Luca scrisse: “Verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge….” (Lc.1,78) e addirittura dall’Apocalisse (21,23) sappiamo che negli ultimi tempi non ci sarà più bisogno del sole, perché l’astro sarà rimpiazzato da Gesù, il nuovo sole che ci illumina già oggi.
Gesù conoscerà le tappe di crescita comuni ad ogni bambino, ma nello stesso tempo sarà assolutamente diverso da tutti gli altri, perché, come abbiamo visto, è “l’uomo-Dio”: umanità e divinità cresceranno insieme in lui fino alla maturità (30 anni), quando comincerà a predicare per un periodo di tre anni lungo le strade della Palestina.
Per questo nella notte di Natale, detta anche Notte Santa, adoriamo questa creatura straordinaria e riflettiamo sui Suoi doni; certo, Gesù Bambino porta sempre ai piccoli dei regali concreti (giochi, dolciumi, etc.) che rendono più bella e allegra la festa natalizia.
Ma i doni più importanti sono quelli spirituali, di cui il piccolo Gesù è portatore:
- Anzitutto Egli è l’Amore: in tutta la sua vita non farà altro che dimostrarci in concreto che DIO E’ AMORE. Se ogni uomo della terra in questo giorno facesse almeno un gesto di amore, forse qualcosa cambierebbe…..
- Poi è il “Principe della pace” (profeta Isaia) e non occorrono parole per dire di quanta PACE ha bisogno il mondo; pace significa non violenza; chiediamo al Bimbo divino di re-insegnarci a convivere fraternamente, nel dialogo costruttivo, senza invidia, odio e malvagità, ma con accoglienza, pazienza, comprensione, dedizione.
- Infine è la GIOIA, perché questa è la conseguenza di ogni incontro con Gesù, che ti regala amore, amicizia, serenità, sicurezza, perché con Lui non sei mai solo, anche nei momenti più difficili.
Simboli di Natale
Il presepe
In ogni casa viene allestito un presepe (o presepio), che rappresenta la scena della nascita di Gesù realizzata per mezzo di statuine di materiale vario.
La scena tradizionale ha i suoi elementi principali nella grotta o nella capanna, dove una mangiatoia accoglie Gesù Bambino, con a lato la Madonna, San Giuseppe, il bue e l’asinello, e al di fuori pastori e pecorelle, l’Arcangelo Gabriele, l’arrivo dei tre re magi, il tutto su un tappeto di muschio e un cielo di stelle, tra cui la luminosa stella cometa.
Il primo presepe, secondo la tradizione, sarebbe stato composto da San Francesco nel 1223 a Greccio. L’uso del presepe natalizio prese piede nei secoli successivi, dal 1600 in poi, uso che ha dato poi origine a una produzione artigianale che vide i suoi centri maggiori a Genova e soprattutto a Napoli, dove si affermarono presepi ricchissimi, composti da statuine rappresentanti ogni categoria sociale, e spesso con personaggi moderni, notevoli per caratterizzazione espressiva. Accanto a questi presepi si svilupparono presepi popolari, in materiali poveri (argilla, cartapesta, legno), presepi sommersi in mare o fiumi, presepi viventi.
La stella cometa
La stella cometa è senza dubbio uno dei simboli che non possono mancare in un presepe. Di questo fenomeno astronomico che annuncia la nascita di Gesù parla solo il Vangelo secondo Matteo. I tentativi scientifici, di identificare se davvero un corpo celeste sia stato visibile sul cielo di Gerusalemme sono stati moltissimi ma non si è raggiunto alcun risultato certo; anche gli esegeti sono divisi tra chi ammette la realtà di una particolare congiunzione di pianeti e chi no. Le rappresentazioni della natività, quindi dei presepi, hanno comunque cominciato ad avere questo astro posto esattamente sopra la piccola capanna dove Gesù è nato. Di esempi ve ne sono moltissimi, prendiamo per esempio “L’Adorazione dei Magi” di Giotto, in questo affresco è ben visibile la Stella Cometa, che già all’epoca era riconosciuta come simbolo della natività.
L’albero di Natale
Risale ai riti pagani del ceppo, bruciato a partire dal solstizio invernale, spiegato a pag.2. Simbolicamente bruciava il passato e vi si coglievano anche i segni del futuro: le scintille che salivano nella cappa indicavano il ritorno dei giorni lunghi. La cenere raccolta veniva poi sparsa nei campi con l’auspicio di abbondanti raccolti.
L’usanza di adornare l’albero di Natale in occasione della festa fu prerogativa degli antichi popoli germanici che festeggiavano il passaggio dall’autunno all’inverno bruciando enormi ceppi nei camini e piantando davanti alle case un abete (scelto per la sua caratteristica di essere sempre verde, e dunque simbolo di vita) ornato di ghirlande.
La tradizione si estese presso molti altri popoli del nord Europa e cominciò ad accompagnare la ricorrenza natalizia. Alle ghirlande si unirono nastri e frutti colorati, poi le candeline, fino a quando, verso la metà del 1800, alcuni fabbricanti svizzeri e tedeschi cominciarono a preparare leggeri e variopinti ninnoli di vetro soffiato che diventarono di moda e costituirono l’ ornamento tradizionale dell’albero natalizio. Poi arrivarono anche le lampadine e le decorazioni di plastica; oggi non c’è più limite alla fantasia per creare addobbi e abbellimenti per i rami.
Nelle case italiane l’albero di Natale è arrivato da pochi decenni e in circostanze curiose. Verso la fine del 1800 questa moda dilagava in tutte le corti europee tra le famiglie della nobiltà. Anche la regina Margherita, moglie di Umberto I, ne fece allestire uno, in un salone del Quirinale, dove la famiglia reale abitava. La novità piacque moltissimo e l’albero divenne di casa tra le famiglie italiane e popolarissimo tra i bambini.
Anche nella tradizione cristiana troviamo “l’albero”: l’abete nei tempi antichi era l’Albero Cosmico, cioè la manifestazione divina del cosmo. Poi viene identificato in Gesù e nella sua luce: l’illuminazione dell’albero è l’illuminazione di Cristo sull’umanità, mentre i frutti, i doni, le decorazioni simboleggiano la sua generosità verso di noi.
E BABBO NATALE LO LASCIAMO FUORI ?
Certamente no, anche se molti pensano che non sia un personaggio della tradizione cristiana e venga fatto conoscere soprattutto ai bambini che non hanno una formazione religiosa e quindi non aspettano i doni da Gesù Bambino.
Come dire: occorre scegliere tra Gesù Bambino e Babbo Natale?
No, non è necessario perché, in barba alla versione commercializzata con la Coca Cola negli Stati Uniti, le radici di Babbo Natale affondano in un tempo molto lontano, il IV° secolo d. Cr., e chiaramente cristiano; occorre risalire a un vescovo turco realmente esistito e diventato santo, di nome San Nicola che, secondo la tradizione, di notte lasciava le vesti preziose del religioso e si vestiva comunemente, per portare sacchi di monete nelle case delle famiglie più bisognose. Era il vescovo di Myra, in Anatolia, e partecipò anche al Concilio di Nicea del 325, quello che sconfessò l’eresia ariana.
Così nella tradizione popolare il santo divenne il “portatore di doni” per antonomasia, aiutato nelle sue generose spedizioni da un fedele asinello.
In versioni posteriori semplificate per i bambini, San Nicola regalava cibo alle famiglie meno abbienti calandoglielo anonimamente attraverso i camini o le loro finestre.
Nell’XI° sec. le sue spoglie furono trasportate a Bari, dove è venerato come patrono, e ritenuto protettore dei piccoli.
Nacque così la figura del vescovo S. Nicolò (Sankt Nikolaus nei paesi di lingua tedesca), che il 6 dicembre (giorno della sua festa), porta regali ai bambini. La data poi, in quasi tutta Europa, venne assorbita da quella più importante del Natale.
Gli scrittori e gli artisti trasformarono il vescovo col suo manto e la mitria (particolare copricapo a due punte) nella figura di una persona anziana, con la barba bianca, il manto e il cappuccio.
Parallelamente in Inghilterra nascevano le figure di due personaggi: Sir Christemas, che annunciava l’arrivo del Natale, ma non era vecchio e non portava regali, e lo Spirito del Natale Presente nominato da Charles Dickens nel suo Canto di Natale.
Col tempo i personaggi si fusero nella figura di un distinto e saggio uomo anziano, solitamente rappresentato con abiti verdi, che prese il nome di Father Christmas o Old Christmas. Da qui il nome del nostro Babbo Natale.
Il vignettista americano Nast cominciò a disegnare Babbo Natale per Harper’s Weekly nel 1862, e continuò per ben 30 anni, cambiando il colore del suo mantello da quello verde o marrone a quello rosso che tutti oggi conosciamo (e che la pubblicità della Coca Cola ha fatto proprio).
Lo stesso Nest stabilì persino la residenza ufficiale del buon vecchio, ambientandola al Polo Nord, con tanto di ufficio in Finlandia (Post Office, SF 96930 Rovaniemi, Finlandia), dove i bambini possono spedire le loro letterine.
I coloni olandesi, per i quali S. Nicolò era Sinter Klaas (che significa “il compleanno del Santo”), lo immaginavano in cielo in sella a un cavallo e, in seguito alla loro emigrazione, lo portarono in America, dove il vescovo diventò il Santa Claus con le renne e la slitta volante.
CONCLUSIONE: il mio parere personale è che, essendoci tantissimi bambini nel mondo, Gesù Bambino e Babbo Natale possano aiutarsi a vicenda nell’amorevole distribuzione dei doni.
A cura di Ileana Mortari