XIV Giornate di Spiritualità Mariana
«DAMMI IL TUO CUORE»
La vera devozione una “spiritualità del cuore”
Loreto, 15-17 settembre 2017
Quale spiritualità
Don Luigi Maria Epicoco
15 settembre 2017
0. Premessa
Molto spesso mi vengono affidati temi legati alla vita spirituale. Questo mi fa un po’ sorridere perchè io di mestiere insegno filosofia e in realtà non sono assolutamente un esperto di questa materia. Tuttavia credo che la cosa utile che magari possiamo fare insieme è cercare di farci delle domande e di entrare davvero dentro questa grande domanda. Quale spiritualità? Sopratutto precisando delle cose che, secondo me, noi non abbiamo molto chiare sulla nostra vita.
Ad esempio, noi usiamo la parola vita, vita interiore, ma io mi domando se tutti intendiamo la stessa cosa quando parliamo di vita interiore o di vita in generale. Quindi, il mio intervento, che sarà diviso in due, tre punti, cercherà sopratutto di precisare la questione. Spero, poi, che ciascuno di noi,vedendosela con il vero Maestro della vita interiore che è lo Spirito Santo e avendo a che fare anche con colei che dispensa abbondantemente lo Spirito Santo che è Maria, proprio perchè Cristo sia formato in noi, dice san Paolo, sperimenti che questa è una faccenda che rimane estremamente personale.
Diffidate, in generale, di tutti quelli che vi vendono una tecnica. La vita spirituale non la si può rinchiudere in una tecnica. Nessuno può darvi delle istruzioni per l’uso. Qualcuno può darvi qualche dritta, qualche delucidazione, qualche indicazione, ma è un viaggio che ciascuno di noi elabora personalmente, perchè ciascuno di noi è unico. Se una tecnica è valida, lo è in generale quando ci dà delle grandi coordinate, ma è impossibile dire che seguendo quell’itinerario tutti avremo la stessa conseguenza, lo stesso risultato.
Questo non ve lo dico io. Guardate il primo nucleo di amici, di Chiesa, dei discepoli, degli apostoli. Dodici persone, dodici personaltà diverse, dodici storie diverse, dodici aspettative diverse, dodici maniere di guardare Cristo. Ma il Cristo è sempre lo stesso. È Lui che parla, è Lui che moltiplica i pani, è Lui che sfama, è Lui che risuscita, è Lui che sicuramente avrà perso tantissimo tempo a parlare con quei discepoli, con quelle persone senza che i vangeli abbiano registrato per forza questi colloqui. Eppure dopo tre anni di esperienza con la stessa persona – cioè non sono dodici Gesù diversi, ma è un unico Gesù e sono dodici persone diverse che lo guardano – nella vita di ciascuna di queste dodici persone la vita spirituale è maturata in maniera diversa. È maturata in maniera diversa in Giovanni, che resta sotto la croce; è maturata in maniera diversa in Pietro che invece va via, scappa come tutti gli altri e in lui c’è anche l’aggravante di innegare Cristo; ma c’è anche la maturazione della vita spirituale in Pietro che poi si pente, torna sui suoi passi, si converte, si lascia perdonare. Ma dobbiamo dire che la vita spirituale è maturata in una maniera drammatica in Giuda. Voi pensate che Giuda non avesse una vita spirituale? Chi di noi può avere questa presunzione di dire che Giuda non avesse una vita spirituale?
Avere una vita spirituale non significa automaticamente avere il paradiso in tasca, perchè la vita spirituale, essndo proprio la vita dello Spirito, è una vita che ci lascia liberi, profondamente liberi. Cioè, può succedere che voi siete stati a messa – lì c’è veramente Gesù presente nell’Eucaristia – avete ascoltato la Parola, vi siete accostati alla comunione e un istante dopo, uscendo da quella messa, potreste imbracciare un mitra e ammazzare qualcuno. È possibile perchè la grazia di Dio non ci toglie la libertà di agire, di scegliere, al contrario! Siamo noi che, forse in maniera molto infantile, desidereremmo una vita spirituale che ci faccia fare soltanto il bene, forse togliendoci anche l’opportunità del male. Ma questo è tutto ciò che c’era prima di Cristo. Dopo Cristo, ricordatevi quello che Gesù dice ai suoi discepoli: “Non vi chiamo più servi, ma amici”. E Dio nel Figlio rischia con ciascuno di noi perchè costruire un rapporto di amicizia significa mettersi nelle condizioni di essere tradito, di trovare degli amici che si addormentano quandi lui ha bisogno, o che non lo prendono sul serio, oppure di trovare gente affidabile, gente che si porta appresso, gente che si ritrova sotto la croce.
Insomma, la vita spirituale non è mai qualcosa che si sostituisce alla nostra libertà. Questo muscolo straordinario che ciascuno di noi ha, che è la libertà, è qualcosa che deve crescere insieme alla nostra vita spirituale e deve entrare in consonanza con la nostra vita spirituale. Avere una vita interiore significa avere l’opportunità di fare spazio dentro di noi ad un respiro che è completamente diverso, ma fare spazio a questo respiro non ci toglie il peso e la responsabilità di essere umani, di viverci fino in fondo la nostra umanità.
Io credo che sia questo il motivo per cui il vangelo non censura alcune cose anche di Gesù stesso. Il suo pianto, ad esempio, il senso di smarrimento che prova, la paura, il sudare sangue, il sentirsi abbandonato, il dire di sentirsi abbandonato. Come è possibile che Gesù, che è nel seno del Padre, che è veramente il Figlio, possa sentire tutto questo? Perchè Gesù è veramente uomo! Non dobbiamo avere paura di essere veramente umani, facendo spazio a ciò che è veramente divino attraverso la vita spirituale.
1. Dalla vita esteriore verso la vita interiore…
Qual è il problema? Non ci rendiamo conto che la vita è fatta almeno di due versi. Un verso esteriore ed un verso interiore. Tutti noi, senza rendercene conto, viviamo immersi nella vita esteriore. Potremmo pensare che la vita esteriore coincida con l’apparenza. No! La vita esteriore è pensare che la nostra felicità dipenda da quello che ci accade intorno. Tutti noi pensiamo questo. Riponiamo tantissimo la fiducia negli eventi esterni. Non è una cosa sbagliata, ma è una falsa prospettiva. Gesù in questo caso è quasi quasi completamente inutile: noi da Dio ci aspettiamo sempre che metta mano agli eventi, ma non è questo il modo di agire di Dio. Dio non agisce quasi mai sugli eventi esteriori, perchè vuole ricordarci che ciò che conta di più per la nostra vita non è quello che ci accade, ma la posizione che noi assumiamo davanti a quello che ci accade. Questo fa la differenza. Non è avere o non avere la salute, avere o non avere una famiglia che funziona, che certo è importante…ma attenti, la nostra felicità non può dipendere dagli eventi. Se leghiamo troppo la nostra vita agli eventi, ad un certo punto siamo in balìa della vita perchè la vita segue una logica che sfugge al nostro controllo. Non si può vivere la vita tentando solo di evitare eventi sfortunati…
Il vero significato della nostra vita si gioca qui: che posizione io voglio assumere davanti a quello che mi accade? Questo trasforma tutto perchè ciò che conta di più non è tanto la vita esteriore (l’insieme degli eventi che sono attorno a me), ma domandarci: che posizione voglio assumere io davanti alla vita?
Operare questo passaggio è la vita interiore! E qui non c’entra la fede perchè la vita interiore ce l’ha ogni essere umano, che è tale perchè ha una vita interiore, può decidere che posizione assumere davanti a quello che gli accade.
Nella nostra società non manca anzitutto la fede, ma la vita interiore, ossia la capacità di scendere nella parte più profonda di noi, dove si gioca davvero la nostra posizione esistenziale. Ognuno di noi deve tornare a sentire un bisogno profondo di vita interiore, di ripensare la propria vita non a partire dagli eventi, ma a partire dalla posizione che vuole assumere davanti a quegli eventi.
2. La vita interiore: non addomesticare il disagio, ma coraggio di ascoltarsi e interrogarsi nel profondo
Noi ci accorgiamo di qualcosa che abbiamo quando ci fa male. Noi ci accorgiamo della vita interiore quando incominciamo a provare qualche disagio: angoscia, tristezza, insoddisfazione … Ad un certo punto sentiamo che la vita ci fa male, siamo arrabbiati, siamo insoddisfatti e non sappiamo il motivo, non ne capiamo la radice e incominciamo a prendercela con qualcuno.
Oggi c’è una crisi del disagio, che tutti noi viviamo: facciamo finta che non ci sia. La cultura contemporanea vuole gestire il disagio, ad esempio addomesticandolo, addormentandolo. Tu sei triste, e io ti do qualcosa in modo che non avverti la tristezza. Invece il disagio non va soffocato o cancellato, nascosto, addormentato, ma va ascoltato! Non abbiamo più il coraggio di dirci: «Ma perchè sono triste?». Abbiamo paura di farci questa domanda. Noi non vogliamo farci le domande. Uno non ha più una vita interiore perchè ha paura di farsi le domande. Nessuno di noi deve avere paura di queste domande.
La bellezza di Cristo è che non ha mai tolto niente alle dinamiche umane di paura, di vergogna, di sofferenza, di dolore, ma ha aiutato le persone a farsi una domanda dentro tutto questo. Esempio: l’adultera … lascia che quella donna entri profondamente nella vergogna che prova…Noi non sappiamo più vergognarci ed evitiamo la vergogna per non fare i conti con la nostra miseria. Solo una persona che ha una vita interiore sa fare questo. Scendere giù, fino all’ultimo scalino della tua vergogna, però per prendere una decisione, per prendere sul serio quel Cristo che guardandoti ti dice: «Va’ e non peccare più!». Qui nasce la conversione. La mancanza di domande fa si che ciascuno di noi viva un disagio senza domandarsi da dove venga, tentando con tutto se stesso di addormentarlo.
Tutto questo può succedere anche nella fede cristiana. Cioè, siccome noi stiamo male, usiamo la vita spirituale non perchè vogliamo ascoltare lo Spirito che sta parlando dentro di noi, ma per non stare male. E quando pregando non stai meglio, che fai? Non preghi più? Se tu usi la fede, se tu usi una devozione, se tu usi i sacramenti, se tu usi il rosario per addomesticare il disagio della tua vita e non per ascoltare ciò che il Signore ti sta dicendo in quel disagio, tutto quanto fai non è per avere una vita interiore. La presenza di Cristo dentro la nostra vita non ci toglie la fatica dell’esistenza, ma ci dà il coraggio di portare la fatica dell’esistenza. È proprio perchè Gesù è presente che tu puoi permetterti di stare male. È proprio perchè Lui è vivo che tu puoi essere triste fino in fondo, fino al fondo di capire perchè sei triste e che cosa quella tristezza ti sta dicendo veramente.
È proprio perchè il Signore ci ha dato la comunione dei Santi, ci ha dato una Madre, ci ha dato Maria che noi possiamo permetterci a volte di affacciarci in quell’abisso profondissimo, paurosissimo che è il nostro cuore. Non pensate che nel nostro cuore ci siano solo cose belle. A volte nel nostro cuore c’è un buio fitto ed è difficile riuscire a scendere dentro il nostro cuore! Siamo spaventati dallo scendere dentro il nostro cuore. Avere fede e usare bene la fede significa passare da una semplice vita interiore, intesa come la gestione del disagio, a uno scendere negli inferi di noi stessi, nella parte più profonda di noi. Una vita interiore che si trasformi in vita spirituale!
Una cosa posso dirvi con tutta certezza: in fondo, nella parte più profonda di noi non troverete il demonio; troverete il figlio di Dio, troverete lo Spirito. Certo, è ben seppellito sotto una coltre di buio, di difetti, di peccati, di sofferenze, di ferite, di pezzi della nostra storia, ma sotto, sotto, sotto non c’è il nulla, non c’è un mostro, ma c’è lo Spirito. È da questa certezza che noi possiamo incominciare a scavare dentro di noi, a riprendere dentro di noi questo cammino interiore.
Non lo so, non sono un esperto della spiritualità del Montfort, ma come l’ho digerita io nella mia vita, queste grandi figure compreso anche il Montfort, accompagnavano le persone verso una spiritualità che certamente non era la spiritualità della gestione del disagio, ma era una spiritualità che proprio perchè riconduceva nella parte più profonda della vita, tirava fuori i santi dalle persone. Perchè i santi non sono quelli che fanno i miracoli, intesi come giochi di prestigio; il miracolo più grosso è che tu trovi una persona che è veramente se stessa. Noi invece siamo tanti Pietro che fingono di essere Giacomo … Essere santo è scoprire chi sei veramente tu ed esserlo fino in fondo, non per scimmiottare di essere qualcun altro.
La vocazione alla santità è riappropriarsi di questa identità che è seppellita dentro ciascuno di noi, che lo Spirito sussurra dentro ciascuno di noi e che una sana spiritualità e vita interiore ti porta a tirar fuori il santo che c’è in te. I santi sono persone in carne ed ossa, con una umanità, una storia, con dei difetti, con un carattere, con un linguaggio, con una sensibilità, praticamente sono come noi.
Se invece noi usiamo la fede, la vita spirituale, gli strumenti della vita spirituale semplicemente per rimanere sulla soglia a gestire quello che viene fuori dalla cantina del nostro cuore, ecco noi abbiamo fallito, il nostro stare insieme è un fallimento, non aiuta.
3. Tornare dentro noi stessi…
Il passaggio che noi dobbiamo fare ci viene suggerito dal vangelo. Il vangelo ci dice cosa succede nei momenti più decisivi della vita delle persone che incontrano Dio. «Tornò in se stesso e disse: “Quanti salariati in casa di mio padre”»…Il figliol prodigo! “Tornò in se stesso”! Perchè prima dove stava?
Fuori! Tutti noi viviamo fuori di noi. Il primo passo vero della conversione è tornare dentro noi stessi!
Attenti, e ve lo dico da subito, che non basta tornare in noi stessi! Il ragionamento che fa quel figliol prodigo non è il ragionamento di un santo, ma di un opportunista che ad un certo punto dice: “siccome ho fame, ma non ho più da mangiare e a casa invece c’è da mangiare, bene io torno a casa”…Non è propriamente il ragionamento di un santo, però c’è un primo livello di santità che è la furbizia del buon senso: non conviene vivere fuori di me stesso, conviene tornare dentro noi stessi; cominciare a ragionare che conviene tornare a casa.
Il vero cambiamento per quel figlio avverrà quando, tornando a casa, non troverà quello che lui si aspettava, coè un padre che fa giustizia, ma un padre che lo perdona. Questo gli cambia la vita. L’imprevibilità dell’amore gli cambia la vita. Questo per dirvi che la vera conversione è un dono. Quando noi incontriamo l’imprevidibilità dell’amore dentro la nostra vita. Questo non può darselo nessuno da solo. Nessuno può darsi il perdono da solo, nessuno può darsi da solo l’esperienza della misericordia. È una cosa che riceviamo. Ma certo un primo passo noi lo possiamo fare: “Tornò in stesso”!
Allora, quale spiritualità se non quella di tornare dentro noi stessi e cioè di cominciare a prendere sul serio tutto quello che stiamo provando, il dolore che proviamo, il disagio che proviamo. Di prendere sul serio quello che ci sta accadendo interiormente, di non avere paura di farci delle domande e di dire a noi stessi: “io Signore, posso farmi questa domanda, anche se non ho una risposta, perchè tu sei dentro la mia vita; io posso permettermi di essere inquieto perchè tu sei dentro la mia vita, posso guardare in faccia questa cosa che mi impaurisce perchè tu sei dentro la mia vita, posso avere paura perchè tu sei dentro la mia vita”. È il primo passo: tornare dentro sé stessi! La via del cuore passa attraverso innanzitutto questi ritorno dentro noi stessi!
Ora, quello che sto per dirvi non prendetelo semplicemente come una tecnica, ma come proposta di un cammino, di un itinerario che ci porta dentro noi stessi.
a) Capacità di silenzio…capacità di accorgersi
La prima cosa, che a noi manca, è il silenzio! Attenti però, perchè noi quando pensiamo al silenzio, pensiamo all’assenza di suoni e di rumori, ma non è questo il silenzio della vita interiore. Il silenzio della vita interiore non è semplicemente assenza di suoni, ma è accorgersi! Le persone fanno silenzio quando si accorgono di quello che hanno davanti agli occhi in quell’istante. Io faccio silenzio davanti ad un tramonto quando mi accorgo del tramonto. Io faccio silenzio davanti a mia moglie quando mi accorgo di mia moglie. Io faccio silenzio davanti alla mia tristezza quando mi accorgo della mia tristezza. Io faccio silenzio davanti a qualunque altra cosa quando mi accorgo.
Questo è l’esercizio profondo che noi dobbiamo fare! Sarebbe troppo facile dirvi: spegnete la televisione, spegnete i cellulari, spegnete la radio…questo sono solo metodi per fare la cosa che conta di più, cioè accorgetevi di quello che avete sotto gli occhi in questo istante… Vi è mai capitato di vivere questa cosa, uno dice: “che hai mangiato oggi? Oh Dio, che hai mangiato oggi?”. Io so dirvi tutta la Summa Theologia a memoria, ma non so dirvi che cosa ho mangiato oggi! Certamente ho mangiato, ma non mi sono accorto…Ora, finche si tratta di un pranzo la cosa non è grave, ma quando non ti accorgi di tuo figlio è un problema serio. Dice: “Sì, ma io vado a lavorare per lui, ma io porto il pane a casa per lui, ma io faccio tante cose per lui”. Ma lui ha bisogno del tuo silenzio, che tu ti accorga di lui. Le persone che hai accanto hanno bisogno che tu ti accorga di loro. Cristo ha bisogno che ci accorgiamo di Lui. Tante volte noi diciamo a Gesù – vedete qui Marta e Maria – che cuciniamo, facciamo, prepariamo il pranzo! Maria si è scelta la parte migliore, ma non perchè sta snobbando Marta, ma semplicemente perchè Maria si è accorta che c’è Cristo. Non sta facendo delle cose e basta: si è accorta.
Ora, per avere una vita spirituale bisogna avere la capacità di silenzio, la capacità di accorgersi. E quello che può aiutarmi è in realtà tutto. Voi potete esercitarvi a fare silenzio sempre. Vi consiglio di farlo almeno un quarto d’ora al giorno. Esperienza di silenzio, cioè di passare un quarto d’ora della vostra giornata attentissimi a quello che sta accadendo attorno a voi, vivendo nel presente, guardando le cose, guardando perfino gli insetti, guardare quella mosca che vola; vi sembra così banale? No, non lo è perchè solo le persone che si accorgono, riescono poi ad ascoltare Dio!
Spero di non distruggere nessun castello della vita interiore di qualcuno con quanto dirò, ma guardate che Dio non parla nelle meditazioni e nei ragionamenti. Dio parla nel presente, il Signore ci parla nella realtà. Ricordate la storia di Elia dentro la caverna…il terremoto, il fuoco, il vento impetuoso. Ma Dio non è in tutta quella roba lì, ma nella brezza di un vento leggero. Fratelli miei, per ascoltare la brezza di un vento leggero bisogna essere accorti. È il primo passo di una vera spiritualità: è una spiritualità che si nutre di silenzio.
b) Prendere confidenza con la Parola di Dio
Il secondo passaggio è questo. Se il silenzio ci introduce dentro noi stessi perchè ci fa accorgere di qualcosa, come si fa a raccapezzarsi in quello di cui ci si accorge? Mi spiego. Provate a stare dieci minuti davanti al Santissimo e a fare silenzio. Vi succederà di tutto: pensieri, emozioni, rumori, situazioni che vi passeranno per la testa, intorno ecc. E poi c’è il Santissimo lì. E tu dici: “ma dove sei, Signore, in tutto ciò? Come faccio a capire che quel rumore sei tu, che non è la tristezza, ma sei tu?”! Qual è la differenza c’è tra l’inquietudine e l’angoscia? Sono cose che si assomigliano moltissimo. Solo che l’inquietudine può essere qualcosa che suscita lo Spirito … l’inquietudine che animava san Luigi Maria da Montfort, che l’ha smosso a fare quello che ha fatto; che animava san Giovanni Bosco quando si sentiva le mani legate al vedere i ragazzi per Torino. È un’inquietudine quella, non era pacifico, era inquieto. E po c’è un’angoscia. Ma le due cose si assomigliano. Come si fa a distinguere tra due cose che si assomigliano? La Parola di Dio ci educa a fare questo tipo di discernimento.
Capite o no che fino a che noi rimaniamo ignoranti di Parola di Dio siamo ostaggio delle cose che ci capitano dentro, senza riuscire mai a capirne niente. Siamo costretti a subire le cose e non più a discernere. Capite perchè il rosario può cambiare la vita di una persona? Non perchè la Madonna con 50 Ave Maria ti fa la magia, ma perchè quelle 50 Ave Maria sono 50 Ave Maria spalmate su cinque parti del vangelo, della vita di Cristo, che noi contempliamo in braccio a lei e che senza rendercene conto quella contemplazione con lei, davanti a quella Parola, davanti a quel mistero, ci cambia, comincia a farci capire la differenza che c’è tra il Golgota ed il Tabor, tra ricevere una Notizia e trasformare quella notizia in carità – pensate all’Annunciazione e la vosota ad Elisabetta -, tra l’angoscia che prova Gesù nel Getsemani e la luce della risurrezione.
Noi siamo ancora troppo ignoranti di Parola di Dio. Non riusciamo a capire che quella è l’unica cosa che ci può far raccapezzare davvero dentro la nostra interiorità. Noi dovremmo tornare a prendere davvero confidenza con la Parola di Dio.
Ma come si fa a prendere confidenza con la Parola di Dio, visto che tutti noi quando pensiamo alla Parola di Dio, pensiamo semplicemente ai grandi esegeti … Eppure Gesù parlava alla gente come noi, alla gente semplice. È che noi abbiamo smesso di essere semplici e per questo non riusciamo più a capire la Parola. Vi faccio un esempio, anche per invogliarvi. Penso che tutti voi avete letto, almeno una volta nella vita, la fiaba straordinaria del Piccolo Principe. Ad un certo punto nella storia del Piccolo Principe c’è la volpe che spiega al Piccolo Principe come si fa ad addomesticarla. E dice: “verrò tutti i giorni qui, alle quattro … e ci vedremo qui ogni giorno”! Si crea un rito. E dice la volpe: “Ogni giorno io mi avvicinerò un poco, finchè ti arriverò accanto e tu mi avrai addomesticata”. La volpe è la Parola di Dio e certe volte ci sfugge, noi non la capiamo! Ma sapete perchè? Perchè non la frequentiamo, non ci avviciniamo ad essa, perchè noi non ci lasciamo addomesticare dalla Parola e non addomestichiamo la Parola.
Se volete capire qualcosa della Parola di Dio dovete cominciare a leggere la Parola di Dio. Nella fede, nella vita spirituale le cose le riusciamo a capire perchè le facciamo. Non preoccupatevi se all’inizio non ci capirete niente, se sembra così assurdo. Ma pensate che c’è bisogno di don Luigi per capire la Parola di Dio? Noi siamo solo strumenti. Il Signore parla a ciascuno di noi, ma dobbiamo capirlo un po’ alla volta. La cosa bella è che i discepoli stessi non capivano subito quello che Gesù diceva. Andate a prendere i meravigliosi discorsi che fa sul pane di vita. Sapete come se ne escono i discepoli ad un certo punto: “Vuoi che andiamo a comprare del pane?”. Voglio dirvi: non vi impressionate se non capite la Parola di Dio da subito. Ma certamente una vita spirituale che non ha la Parola di Dio è in balìa della pancia, non del cuore. Una vita cristiana interiore senza la Parola di Dio non arriverà mai al cuore, si fermerà alla pancia. Ciascuno di noi deve avere il coraggio di varcare quella soglia e poi di avere una bussola! Qual è questa bussola? La Parola è la bussola.
c) Rileggere la vita in chiave sapienziale: agganciare il motivo, il senso
Un’altra cosa che può aiutare tantissimo. Quando abbiamo varcato questa soglia e quando la Parola di Dio ha cominciato ad entrare dentro di noi, comincia a renderci conto della differenza. E guardate che è liberante poter dire: quella è un’emozione, ma io non sono quella emozione. Quella è una ferita che mi ha fatto mio padre, ma io sono libero di fare anche diversamente da quella ferita.
La vita spirituale non è che ti toglie la sofferenza, ma ti fa rendere conto che tu sei libero da tutta quella roba lì. Ricrea una giusta distanza. La Parola dà un nome alle cose e dando un nome alle cose le rivela e proprio perchè le rivela, lì il Signore ci parla. Solo una persona che ha vissuto così, ad un certo punto ha la capacità di rileggere in maniera sapienziale la propria storia. Ma se voi mi domandate: “Perchè il Signore ti ha voluto prete, a L’Aquila, in un terremoto”, io non lo so il perchè; avverto dentro di me, però, che c’è un motivo e più vado avanti più mi sembra di incominciare ad intuire il motivo.Ciò che mi ammazza, invece, è quando perdo di vista questo motivo, quando mi accorgo che in realtà tutto questo non ha un senso. La nostra vita è insopportabile quando non troviamo più un senso per cui vivere. Uno vorrebbe avere la spiegazione perchè ha il cancro e ha sei mesi di vita, e il Signore lo lui comincia ad avere l’intima certezza che c’è un motivo e vive perchè avverte questo e a volte ha la grazia anche di poterlo dire.
Mi torna sempre alla mente il racconto, nell’A.T., di Giuseppe venduto dai fratelli. Quando Giuseppe incontra di nuovo i suoi fratelli in Egitto, a un certo punto si rivela loro: “sono io”. Essi sono tutti atterriti, temono di essere uccisi; invece Giuseppe dice loro: “non abbiate paura, non angustiatevi, non voi mi avete mandato qui in Egitto, ma il Signore mi ha mandato qui in Egitto perchè salvassi la vita a me e a voi”. Quel poveretto ne ha viste di cotte e di crude dentro la sua esistenza. La grazia qual è? Che tu a un certo punto riesci a capire che c’era un filo, un significato, che il Signore ha riempito di significato l’ingiustizia di un fratello che ti voleva ammazzare e che ti ha venduto agli Egiziani. Da quella cosa brutta, orribile, ingiusta Dio tira fuori un motivo.
Avere una vita spirituale significa agganciare questo motivo dentro di noi. È avvertire che la tua vita ha un senso. Dice una preghiera eucaristica: “E perchè non viviamo più per noi stessi, ma per Lui che è morto e risorto per noi…”. Perchè non viviamo più per noi stessi, ma perchè finalmente c’abbiamo un motivo. Gesù perchè è venuto nel mondo? Perchè tutti finalmente c’abbiamo un motivo. Cristo è il motivo. La vita vale la pena perchè c’è Cristo. Questa è una cosa che io posso dirvi a parole, ma ad un certo punto la dobbiamo sperimentare dentro di noi.
d) Sentire di avere un Padre e capire di essere figli
Voglio lasciarvi un’ultima cosa. A che cosa serve scendere dentro noi stessi, varcare quel buio, attraversare quella zona d’ombra, ascoltare il dolore, il disagio che ci portiamo dentro, arrivare fin lì sotto? Dice san Paolo: “è lo Spirito che grida dentro di noi: Abbà, Padre”.
Sapete cosa succede quando uno entra così profondamente dentro se stesso? Che Dio non è più Dio, ma è papà e tu hai capito che sei figlio. Non sei più semplicemente una creatura, sei figlio. Questo ci cambia la vita! Sapere che ci ama cambia la vita, non sapere che esiste. E l’esperienza del Padre è sentire dentro di noi che abbiamo un Padre. Sentirlo, non saperlo. Sentire nella parte più profonda di noi: Abbà, papà, Padre. E sentirci addosso quello che Gesù si è sentito addosso il giorno del battesimo nel fiume Giordano: “Questi è il Figlio mio, l’amato, quello in cui ho posto tutta la mia fiducia”.
Vi siete accorti che quello che ci fa vivere è questo: quando uno si sente amato e con la fiducia addosso. Questo tira fuori i capolavori da noi. Quand’è che noi facciamo casini normalmente? Quando non ci sentiamo amati. Quando qualcuno non si fida di noi, tira fuori sempre il peggio di noi. Tu non vorresti sbagliare, ma alla fine sbagli.
Come fa Dio a tirar fuori quel figlio che è seppellito dentro di noi? Amandoci. A che serve veramente la vita spirituale, a che serve lasciarsi aiutare da Maria ad entrare nel cuore? A scoprire che siamo figli, a scoprire che il Signore vuole dire a ciascuno di noi: “io ti amo e mi fido di te”. “ma io…”. “Io ti amo e mi fido di te”. “Ma, Signore, ho ammazzato…”. “Io ti amo e mi fido di te”. Vorremmo che Dio cambiasse la nostra vita, invece Dio si fida di ciascuno di noi, non ci cambia la vita perchè si fida più di noi che della vita cambiata e sa benissimo che quando noi ci lasciamo amare, possiamo noi cambiare tutto, a partire da noi stessi. “Ti amo e mi fido di te”.
e) Maria: madre che tira fuori il figlio che è dentro di noi
Perchè ci ha dato Maria? Perchè ciascuno di noi ha bisogno di una madre che curi quel figlio che c’è dentro di noi, perchè ciascuno di noi ha bisogno di sentirsi protetto e curato, e ciascuno di noi ha bisogno che questo figlio di Dio che magari ancora non conosce e che è seppellito dentro ciascuno di noi, venga tirato fuori un po’ alla volta.
E chi c’è di più ostinato di una madre? Nessuno. Sappiate che Maria ci ama di un amore ostinato. Ostinato significa che voi potete sbattere a terra, fare anche le cose peggiori al mondo, ma quella donna non smetterà di cercare ogni mezzo per tirarci fuori da lì. E lo fa per vocazione, cioè è la sua vocazione esserci madre. Io non so voi, ma a me questo mi rasserena tantissimo perchè in fin dei conti tu puoi essere anche un figlio che dà problemi, inquieto, che fa danni, ma la cosa che ti fa rimettere in piedi quando hai fatto danni è sapere che c’è tua madre, che c’è una madre.
Il Signore ci ha dato una madre, non ci ha dato un dito puntato, ma una madre che ci ricorda, come tutte le madri ciò che conta. Tutte le madri sono noiose, sempre le stesse cose, ma lo sono perchè noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci ripeta sempre ciò che conta, sempre…Maria è noiosa: “Fate quello che vi dirà”. Non troveremo in Maria cose diverse. Quando ogni tanto sento rivelazioni private, come se Maria dovesse dirci qualcosa di eccezionale, ma cosa vuoi che ti dica di più se non quello che dice costantemente, cioè che Cristo è il motivo vero per cui vale la pena vivere e che ascoltarlo è vita eterna! Non aspettiamoci nient’altro e lasciamo che questa Madre possa esercitare la sua maternità su ciascuno di noi.
In sintesi
Ricordatevi:
- noi possiamo fare molto la differenza: se da una vita esteriore, cioè da una vita consegnata agli eventi, abbiamo il coraggio di passare ad una vita interiore;
- cosa significa arrivare ad una vita interiore? Cominciare a comprendere che nella vita ciò che conta è la posizione che tu assumi davanti alle cose che ti accadono;
- e che tutto quello che provi, che pensi, che ti capita non devi gestirlo, ma devi ascoltarlo, devi andarci dentro, devi penetrarlo davvero fino in fondo e puoi permetterti di fare questo perchè c’è Cristo dentro la tua vita, perchè non sei solo;
- e al fondo di quel buio che cosa troverai? L’esperienza del Padre. Il più grande dono di fede che possiamo avere è questo: per dono, cioè per fede, ad un certo punto dalla nostra bocca passa questa parola dello Spirito: Papà. Sperimentiamo l’amore dela Sapienza eterna, direbbe san Luigi Maria de Montfort;
- questa esperienza del Padre tira fuori da noi il capolavoro che è seppellito dentro ciascuno di noi.
Forse voi non ve ne siete accorti, ma noi siamo unici e davanti a Dio rimaniamo unici, per quanto possiamo fare assemblee. Sapete che nella Chiesa ci sentiamo fortissimi quando riusciamo a metterci insieme. Tuttavia io sono sempre preoccupato perchè quando c’è troppa massa ci si sente forti e al sicuro nella parte orrizzontale. Invece Dio, solitamente, fa un sacco di cose belle con i piccoli resti. Quindi, non vi scoraggiate quando siete pochi perchè quattro santi possono rivoluzionare tutto. Bene, ricordatevi che questa esperienza di unicità è scoprire davvero quel santo che è seppellito dentro di noi.
Essere felici significa incontrare Cristo così e tirar fuori questo capolavoro da noi. E una persona che è felice non muore mai. Pensate al Montfort. Un uomo felice continua a vivere anche questa sera, quà. La felicità di quell’uomo continua a contaminare noi. Come è possibile? Lo sappiamo benissimo: Dio fa questi capolavori.
Ma ciascuno di noi deve domandarsi se vuole farsi toccare da quest’opera, se vuole dare il suo cuore a Dio. Dio non ha bisogno innanzitutto delle nostre mani e delle nostre intelligenze. Ha bisogno innanzitutto del nostro cuore perchè il cuore è la parte più decisiva di una persona, la parte più vera, affettiva, profonda. Secondo voi un figlio ha bisogno di un pasto o di una madre? Uno studente ha bisogno di nozioni o di un educatore? Quando io dico madre e un educatore, sto parlando di questione di cuore, non di notizie o di cose. Bene, noi dobbiamo diventare così. Non distributori di informazioni, di teologie, non distributori di cose, fossero anche panini per i poveri, noi dobbiamo essere distributori di cuore, cioè di ciò che conta, di ciò che può riempire di significato la vita di una persona, così come Cristo ha riempito la nostra.
Trascrizione da video non rivista dall’autore.