Prima di entrare nella sua passione, Gesù si ferma nel tempio per un ultimo lungo insegnamento. Tratta il tema della fine della storia: annuncia come il mondo attuale precipiterà per fare posto al mondo nuovo di Dio. Ma in mezzo alla profezia di eventi cosmici sconvolgenti, Gesù si ferma sulle condizioni storiche di persecuzione che possono vivere i discepoli. Se la predizione degli eventi finali si allarga infinitamente al di là della cerchia dei discepoli, ora il Maestro – nei versetti che ci è dato ascoltare oggi, al cuore di quel discorso – rivolge le sue parole proprio ai credenti e tratta delle loro situazioni esistenziali.
Infatti, prima delle catastrofi degli ultimi tempi, una prova specifica aspetta i cristiani: quella delle tribolazioni “a causa del mio nome” (v. 12). Le prime generazioni di cristiani ne hanno abbondantemente fatto esperienza (gli Atti degli apostoli ce ne danno il racconto). E oggi ancora, in varie parti del mondo, il martirio non è una semplice ipotesi, bensì una possibilità reale. Questa consapevolezza ci riporta, noi che siamo lontani da tali contesti drammatici, alla serietà della scelta che la nostra fede comporta. E ci ricorda che ogni escatologia, ogni discorso sulle realtà ultime, rimane sempre aperto agli eventi presenti che ne portano i segni precursori.
Il tempo della persecuzione, dell’opposizione, infatti è il tempo della testimonianza. Una testimonianza, tuttavia, che avviene non nonostante le prove patite, bensì attraverso di esse; il cristiano manifesta così la propria adesione a una vita più forte della morte (morte che ora potrebbe subire). Sì – drammaticamente – le angherie, le vessazioni subite per l’appartenenza a Cristo sono un’ “occasione” (v. 13) di manifestare la saldezza della fede, e la profondità umana di coloro che le subiscono.
Le persecuzioni patite dai credenti, in realtà sono segni: raffigurano i travagli del parto del Regno a venire. In quanto tali dunque, non manifestano tanto la potenza e la forza dei persecutori, quanto la certezza della loro caduta prossima. Nelle tribolazioni, il discepolo si rende conforme a Cristo: l’Evangelo ce lo assicura, Dio sostiene e soccorre il suo servo, fino a richiamarlo in vita!
Proprio questa fiducia, perfino al cuore dell’oppressione, permette a Cristo di formulare una promessa: “Io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere” (v. 15). I discepoli non si riposano su loro stessi: un Altro parla e agisce in loro. Il loro dire e il loro agire testimonia del fatto che l’Assente in realtà è ben presente. I credenti stessi lo sperimentano quando, ogni giorno, si riposano sulla Parola di un Altro che li fortifica e indica loro la strada certa per vivere l’Evangelo, anche in mezzo a vessazioni.
E dalla promessa alquanto scura delle violenze (“sarete odiati da tutti”, v. 17), si leva la luce di un’altra promessa, infinitamente consolante: “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto” (v. 18). La sollecitudine di Dio per i suoi non può venire meno. Anche perseguitati e messi a morte, i testimoni di Cristo rimangono sotto lo sguardo del Padre, il quale, al termine della loro perseveranza, offrirà loro la vita vera, nel Regno che gli eventi che ora stanno attraversando già annunciano.
Fratel Matthias della comunità monastica di Bose
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza.
Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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