L’attesa di un futuro pieno di speranza unita alla vigilanza che mantiene vivo il desiderio dell’incontro con il Signore che viene, sono i due temi che si intrecciano in questa prima domenica di Avvento. Prima domenica di un nuovo ciclo liturgico, attraverso la parola di Dio essa appare anche come l’ultima domenica della parabola liturgica percorsa durante un anno: guardando verso un orizzonte ancora lontano, l’uomo sogna la pace e la giustizia universali, utopie nutrite dalla speranza in un Dio che conosce la fragile realtà delle sue creature e le ama con tenerezza (cfr. Is 64,7) e finalmente giunte a realtà (prima lettura); e il cristiano evoca l’evento misterioso ma indubitabile della parusia e dell’avvento del Signore Gesù nella sua gloria (vangelo).
Il tono orante della lamentazione di Isaia è profondamente segnato da un acuto dolore per la drammatica situazione di un popolo che sta vagando lontano dalle vie del suo Signore, indurito nel suo cuore (cfr. Is 63,17). Eppure questo lamento è attraversato da luci di speranza e di abbandono in un Dio che è invocato come «il nostro padre e il nostro redentore» (cfr. 63,16b). La preghiera di questo popolo, nel quale possiamo scorgere le speranze di tutta l’umanità disorientata e senza più cammini sicuri, raggiunge il suo apice in quel grido che lascia sprigionare tutto il desiderio di un incontro con quel Dio che sembra aver nascosto il suo volto (cfr. 64,6), di una salvezza ritrovata e di una redenzione: «se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti» (64,1).
La speranza che il profeta Isaia trasmette a un popolo deluso e pieno di amarezza e che proietta lo sguardo verso un futuro in cui Dio nuovamente interverrà, si trasforma in paziente e vigilante attesa in un incontro ormai certo: l’incontro con il Signore Gesù, incontro lasciato però alla imprevedibile libertà di Colui che deve venire. Di qui l’imperativo che domina tutto il testo di Marco: vegliate, perché non sapete quando è il momento (Mc 13,33).
Nella parabola (anzi nelle due parabole sovrapposte, quella del portiere che vigila e quella del padrone che ritorna improvvisamente), Marco sembra concentrare tutto il vocabolario della vigilanza. Quattro volte ritorna l’imperativo della vigilanza, ma per esprimerne tutta la ricchezza delle sfumature Marco usa tre differenti verbi: gregorein (vv. 35.37), stare desto, vigile; agrypnein (v. 33), rimanere attenti e svegli, cacciando il sonno che appesantisce l’occhio: blepein (v. 33), guardare con attenzione, mettere a fuoco, concentrando lo sguardo senza distrarsi. Questi atteggiamenti sono propri di chi è in tensione verso qualcosa, soprattutto di chi attende qualcosa di importante per la sua vita, qualcosa che deve avvenire, ma il cui tempo del compimento è imprevedibile.
Ed è proprio questo l’atteggiamento che deve caratterizzare il discepolo di Cristo nella storia, nel tempo presente. Ogni momento della vita del discepolo è occasione di incontro del Signore (kairos), ma è anche paziente scuola in cui si impara a vigilare (da notare, nella parabola al v. 35, il ritmo della quattro veglie che caratterizzano la venuta ‘notturna’ del padrone). Il discepolo è come quel servo che ha ricevuto dal padrone un compito preciso e che ogni giorno attende il ritorno del suo signore; è come quel portiere che deve essere sempre pronto ad aprire la porta al padrone che può giungere da un momento all’altro. Ma il Signore è proprio come quel padrone: la sua venuta è improvvisa ed è Lui che il discepolo deve attendere. Tutta la parabola, richiamando con forza l’atteggiamento della vigilanza, concentra il nostro sguardo su questo volto apparentemente lontano («come uno che è partito per un viaggio», v. 34), ma il cui incontro è la tensione di tutta l’esistenza del cristiano. Non si attende qualche evento, fosse anche una spettacolare e definitiva soluzione di tutti i problemi della nostra umanità. E neppure in questa attesa si fugge dalla nostra storia e dalle sue contraddizioni; non dimentichiamo che ciascun servo il padrone ha dato il suo compito da svolgere proprio in questo tempo di attesa. Il cristiano attende un volto, il volto del Veniente, il volto del suo Signore, il volto di Colui che ama. E in questo volto riconosce quel futuro pieno di speranza che può veramente cambiare questa storia e questo mondo.
In ogni caso, con la sua parabola, Marco vuole che il cristiano ponga attenzione non tanto a che cosa attendere (questo è ben chiaro: si attende il Signore), ma a come attendere. Ed è appunto la vigilanza l’atteggiamento corretto da vivere nel tempo presente. E così scopriamo che la vigilanza diventa veramente la cifra riassuntiva del nostro essere cristiani nella storia: essa diventa lo sguardo attento su ogni possibile segno della presenza del Signore negli eventi; diventa capacità di assumere con responsabilità il compito affidato; diventa ricerca continua dell’essenziale, senza lasciarsi distrarre da inutili preoccupazioni; diventa lucidità di fronte alle contraddizioni e alle ambiguità della nostra storia. Ma la vigilanza, unita alla attenzione, ci riportano al centro della nostra vita, ci fanno avanzare nel luogo della interiorità e diventano così la porta che permette di custodire il proprio cuore perché rimanga sempre agile e pronto ad accogliere la visita del Signore, sgombro da tutto ciò che ne offusca lo sguardo e ne appesantisce i movimenti.
Non dobbiamo infine dimenticare che la parabola usa una immagine chiaramente comunitaria: se ciascuno attende il ritorno del padrone fedele al proprio compito, ciò avviene però all’interno di una «casa». È dunque una comunità in attesa. La vigilanza riveste tutta la vita della comunità, non solo quella del singolo: in Ap 22,17 è la comunità, la Chiesa riunita in assemblea e che fa memoria del suo Signore, ad attendere e a invocarne pazientemente la venuta. La Chiesa di oggi, le nostre comunità sono comunità che sanno vigilare? Oppure sono piombate nel sonno, distratte, sovraccariche, preoccupate?
Fonte: Monastero Dumenza
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I Domenica di Avvento – Anno B
- Colore liturgico: Viola
- Is 63, 16-17.19; 64, 1-7; Sal.79; 1 Cor 1, 3-9; Mc 13, 33-37
Mc 13, 33-37
Dal Vangelo secondo Marco
33Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 03 – 09 Dicembre 2017
- Tempo di Avvento I
- Colore Viola
- Lezionario: Ciclo B
- Salterio: sett. 1
Fonte: LaSacraBibbia.net
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