Al termine dell’anno liturgico, lo sguardo del credente è come orientato in due direzioni: verso la storia che si rivela come tempo di crescita del Regno e di attesa per il suo compimento, e verso un futuro che è speranza e che porta il sigillo del volto glorioso e misericordioso del Veniente. Attesa di un incontro e, allo stesso tempo, responsabilità di fronte alla storia sono le due direzioni che segnano il cammino del cristiano; e le letture di questa domenica ci offrono dei criteri di discernimento per dare alla nostra vita un ritmo capace di mantenere unite queste due prospettive.
L’invito di Paolo alla vigilanza (II lettura) ci offre l’atteggiamento essenziale per collocarci nel cuore della storia e del suo compimento: «Il Signore verrà come un ladro di notte… noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (lTs 5,1-6). Non lasciarsi prendere dal sonno e vigilare, significa operare nella storia consapevoli che in essa si gioca la qualità e la verità del nostro incontro con il Signore. E la parabola di Mt 25,14-30 ci aiuta a prendere consapevolezza dell’atteggiamento da assumere in questa nostra storia proprio in relazione con il Veniente. Infatti questa parabola, collocata da Matteo all’interno del discorso sugli ultimi tempi (tra la parabola delle dieci vergini e quella del giudizio finale), risponde a una domanda pressante e che rimanda alla concretezza della propria vita di cui ognuno è responsabile: come vivere nell’attesa e che senso dare al presente della storia? «Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni…Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò…» (vv. 14.19).
Ciò che avviene nella storia del credente è simile alla vicenda narrata nella parabola: c’è un ‘frattempo’, uno spazio donato, un frammento di tempo che separa il credente dall’incontro finale con il suo Signore. Esso deve diventare non solo tempo di attesa e vigilanza (Mt 24,42: «Vegliate dunque perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà»), ma anche una occasione in cui ciascuno deve assumersi il rischio della propria responsabilità di fronte ai propri fratelli e di fronte a Colui che ha rischiato affidando all’uomo il dono del suo Regno. Il credente deve agire con quella sapienza che caratterizza la figura della donna saggia in Pr 31,10ss (I lettura).
Come quella donna che «fiduciosa va incontro all’avvenire» (v. 25), in quanto capace di assumere con serietà, intraprendenza e dedizione la sua responsabilità di fonte a coloro che le sono stati affidati, così il cristiano deve agire nella storia e udire a suo tempo le consolanti parole del Signore: «Bene, servo buono e fedele… prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,23). Ma la parabola narrata da Gesù ha una dinamica più complessa e offre altre sfumature, altri modi di vivere la storia e le sue attese.
Ciò emerge dal comportamento dei vari protagonisti del racconto, un ricco proprietario e i suoi servi. Il ricco proprietario, dovendo assentarsi per un lungo tempo, affida il suo capitale ai servi perché lo facciano fruttare, lasciando loro piena libertà nell’azione, «secondo la capacità d ciascuno» (v. 15). Il modo di agire di quest’uomo rivela due caratteristiche della sua personalità: ha piena fiducia nei suoi servi, che non vuole semplici dipendenti ma collaboratori coscienziosi, e si dimostra esigente. Ha la fama di essere severo, duro. Ma è una severità che nasce da una verità di rapporti: non ha paura di rischiare, dunque può pretendere ed esigere qualcosa di più. Due dei servi a cui ha affidato il suo denaro si danno subito da fare e rispondono con serietà a quel segno di fiducia: «Subito… andò ad impiegarli e ne guadagnò altri cinque… ne guadagnò altri due» (vv. 16-17).
Rispondono con la fedeltà alla fiducia: ma una fedeltà dinamica, attiva, creativa. E la riposta del padrone sarà un dono ancora più grande e sarà la gioia e l’amicizia che sgorga da esso: «sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto: prendi parte alla gioia del tuo padrone» (v. 21). Il terzo servo non si rende conto di ciò che la situazione impone. Quasi bloccato dalla paura, non traffica il denaro, preferendo non correre rischi; si limita a conservare e a restituire a suo tempo ciò che gli è stato dato. E sarà questa la sua giustificazione di fronte alla richiesta del padrone: «Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo» (v. 25). Sembra quasi ovvia questa reazione: è vero non ha fatto crescere il capitale, ma nemmeno lo ha sperperato. In fondo ha agito giustamente, anche se non creativamente. Ma il padrone non la pensa così.
Lo definisce «malvagio e pigro», incapace e inaffidabile e, alla fine, ingrato, perché non ha capito e non ha risposto al suo gesto di fiducia: «avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri… Toglieteli dunque il talento» (vv. 27-28). Perché questo servo ha agito così? Perché non ha saputo vivere quel tempo di attesa in modo responsabile e fruttuoso? Paura di rischiare? Paura di perdere l’immagine del buon servo scrupoloso? Certamente la paura lo ha bloccato. Ma la paura più grande che gli ha impedito di agire è quella verso il suo padrone: «Signore, so che sei un uomo duro… Ho avuto paura» (vv. 24-25). La paura del rendiconto lo ha paralizzato perché tutto il suo rapporto con il padrone era condizionato da una immagine sbagliata che aveva di lui: la severità del padrone gli ha fatto dimenticare l’altro tratto del suo volto e cioè la fiducia che gli aveva dimostrato.
Con questa parabola Gesù ci invita a riflettere sulla nostra relazione con Dio, perché da questa relazione dipende poi il nostro modo di agire nella storia. Un volto di Dio simile a quello del padrone che paralizza la vita del servo «malvagio e pigro» cosa comporta? In un tale modo di pensare, vedere Dio, c’è solo posto per la paura o, al massimo, per una scrupolosa osservanza di ciò che è prescritto. Non c’è spazio per il rischio, per la gratuità, per una responsabilità operosa. Uno si sente semplicemente tranquillo, ‘giusto’, quando restituisce ciò che ha ricevuto. Ma un dono non può essere restituito. Il dono mantiene la sua forza e rende presente chi lo ha donato solo se trasforma la vita, solo se mette in atto tutte le possibilità nascoste nel terreno della propria umanità; il dono è come quei talenti che devono essere fatti fruttare. Solo quando si comprende la novità del dono e chi ce lo dona, Dio, la sua fiducia e il suo amore, allora si instaura un rapporto di gratuità dal quale scaturiscono il coraggio, la libertà, la generosità: si cammina sempre verso ‘un di più’ che ci avvicina all’eccesso dell’amore di Dio.
Quando si scopre il dono del Regno rivelato da Gesù, si scopre l’esigenza di una risposta vivace, immediata, creativa: ci si rende conto di essere «figli del giorno», di non appartenere «alla notte, né alle tenebre» (lTs 5,5). Non ci si accontenta più del semplice dovuto, cadendo nella mediocrità e nella ripetitività, in una sorta di sonno esistenziale; si rimane vigilanti, attendendo nella fatica di una vita che sa rispondere alla gratuità con cui il Signore ci ama. Allora non si ha più paura dell’incontro, ma lo si attende con gioia: «Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (iTs 5,6).
Fonte: Monastero Dumenza
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XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
- Colore liturgico: Verde
- Prv 31, 10-13. 19-20. 30-31; Sal.127; 1 Ts 5, 1-6; Mt 25, 14-30
Mt 25, 14-30
Dal Vangelo secondo Matteo
14Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. 15Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». 17Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». 18Ed egli disse: «Portatemeli qui». 19E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. 20Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. 21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. 22Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. 24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 19 – 25 Novembre 2017
- Tempo Ordinario XXXIII
- Colore Verde
- Lezionario: Ciclo A
- Salterio: sett. 1
Fonte: LaSacraBibbia.net
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