Maranathà! Vieni Signore Gesù!
Questa l’invocazione che risuonava con forza nelle prime comunità cristiane come ci testimonia il Nuovo Testamento.
Sì! Il Signore viene, lo ha annunciato (Lc 21,27), viene nella sua gloria, viene per il giudizio (Mt 25, 31-46), ma quando sarà quel giorno, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo, né il Figlio, solo il Padre (Mc 13,32). Neanche noi possiamo saperlo e risuona nei nostri cuori, sulle nostre labbra, la domanda dei discepoli : “Maestro, quando accadranno queste cose?”.
Questa non conoscenza pone le nostre vite nel tempo dilatato che intercorre tra il già e non ancora, un tempo in cui mille anni sono come un giorno che passa, e un giorno come un’ora nella notte (Sal 90). In questa attesa la nostra esistenza si perde nel logorio del tempo e delle vane preoccupazioni.
La parola del Signore con forza ci esorta ripetutamente alla vigilanza, a non dissipare le nostre forze e il nostro cuore nelle preoccupazioni della vita. Gesù ha appena ammonito le folle circa la brama delle ricchezze e gli affanni della vita, esortandole piuttosto a cercare il Regno di Dio e la sua giustizia. Solo così, liberati dai pesi inutili che ci schiacciano, possiamo essere pronti, i fianchi cinti, le lampade accese, quando il Signore verrà.
La vigilanza dei cuori e la sobrietà, che permette di discernere l’unica cosa necessaria (Lc 10,42), sono la vera beatitudine per il discepolo.
“Beati quei servi che il Signore al suo ritorno troverà vigilanti”.
Sì! Già in questa attesa vigilante si può sperimentare la gioia dei cuori resi puri perché liberati da tutto ciò che è superfluo e offusca lo sguardo impedendo di discernere il Signore che viene. È la gioia dei cuori che conoscono il desiderio profondo dell’amato. Perché non basta essere desti e vigilanti, occorre sapere nel proprio cuore chi noi attendiamo, per chi arde il fuoco divorante chiuso nelle nostre ossa ( cf Ger 20,9)!
Solo l’amore potrà tenere desto e vigilante il nostro cuore, l’amore dell’amata che attende: “Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore, un rumore! La voce del mio amato che bussa”( Ct 5,2).
Il fuoco dell’amore è la luce delle nostre lampade che mai dobbiamo lasciar spegnere. L’amore è l’olio della letizia che profuma i piedi dell’amato (Lc 7,38), olio che mai deve mancare perché quando il Signore verrà possiamo entrare con lui al banchetto di nozze (Mt 25,10).
Di questo amore noi siamo amati dal Signore già qui e ora, perché, mentre siamo peccatori, egli si cinge i fianchi per lavare i nostri piedi, per purificare i nostri cuori con l’acqua viva del battesimo, per accoglierci alla sua tavola perché abbiamo parte con lui dell’amore del Padre.
Sì! È la liturgia il luogo in cui si colma lo iato tra il già e non ancora, il luogo in cui la nostra invocazione si unisce alla liturgia del cielo. Ogni nostra liturgia è celebrazione della sua Pasqua, del suo amore per noi fino alla fine, fino a chinarsi sui nostri piedi per lavarli, affinché, rinfrancati in questa comunione, noi possiamo rimanere desti e vigilanti finché Egli venga.
Cinti i fianchi nell’abito di festa della nostra umanità, teniamo accesa la lampada del nostro amore per il Signore che viene, per ogni fratello o sorella, perché risplenda la nostra luce davanti agli uomini, la luce della sua parola, della sua promessa che è vita eterna, pace e amore per tutti i viventi.
fratel Nimal della comunità monastica di Bose
Leggi il brano del Vangelo
Lc 12, 35-38
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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