XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
Ger 31,7-9 / Sal 125 / Eb 5,1-6 / Mc 10,46-52
Coraggio, alzati!
Dio è venuto per insegnare agli uomini ad essere a servizio gli uni della gioia degli altri, lui, il Maestro, si è fatto servo perché imparassimo a mettere i nostri carismi a disposizione degli altri fratelli e sorelle. La lunga riflessione del vangelo di Marco volge ormai al termine e Pietro, maestro di Marco, ci ha fatto, nelle ultime settimane, una straordinaria catechesi sull’essere Chiesa. Il mondo, il nostro mondo, stanco di maestri, ha bisogno di testimoni. Nauseato dalle parole e dalle immagini, ha bisogno di gesti autentici e di ascolto. Sconfortato dai litigi, cerca qualcuno che, davvero, voglia costruire senza contrapporre sempre, a prescindere.
In queste settimane in cui abbiamo riflettuto su cosa Gesù chiede alla comunità dei propri discepoli, ci siamo accorti della nostra fragilità, del grande divario tra il desiderio e la realtà, tra le troppe lentezze e incoerenze che abitano il nostro cuore e il grande sogno di Dio che è la Chiesa. Eppure: è proprio a noi che il Signore chiede di essere testimoni, a noi di diventare segno, di mostrare con la nostra vita – un poco almeno! – che la luce può attraversare i nostri cuori.
Cecità
Il cristiano è un cieco e un mendicante, come tutti. Come tutti sta ai bordi della strada della vita, tende disperatamente le mani per avere di che vivere: attenzione, affetto, approvazione. Spesso, però, il mondo lo invita a tacere, a non disturbare, a lasciar perdere, a rassegnarsi. Anche Dio – ci dicono – in fondo è infastidito dai nostri lamenti. Se insistiamo, se urliamo più forte, ad un certo punto sentiamo che Gesù, il Nazareno, il Figlio di Davide, ci chiama e ci incoraggia. Qualcuno, un discepolo, un amico, un evento, ci ripete: “Coraggio! Alzati, ti chiama”. Ci fidiamo (i fratelli che ci invitano ad avere coraggio lo fanno con amore e disinteresse!), ci alziamo dalle nostre paralisi, abbandoniamo le nostre incommensurabili paure, gettiamo il mantello della lamentela e siamo raggiunti dal Signore. Il Signore, oggi e sempre, ci chiede cosa vogliamo da lui. Potremmo chiedere mille cose: fortuna, denaro, affetto, carriera. Chiediamone una sola: la luce. Luce: che importa avere fortuna se non sappiamo riconoscere chi ce l’ha donata? Luce: quanto denaro serve per colmare il cuore incolmabile di desiderio? Luce: quante volte l’affetto diventa oppressione e dolore? Luce: che ci importa diventare qualcuno se restiamo tenebra? E accade: il Signore ci ridà luce agli occhi e al cuore. Ora, illuminati, possiamo diventare discepoli.
Illuminati
Bartimeo è rimasto lo stesso, la sua vita non cambia ma, ora, ci vede, ora sa dove andare, ora si mette a seguire Gesù. Il cristiano vive le difficoltà e i problemi di tutti, non è diverso, né migliore, solo ci vede alla luce del vangelo. E le cose non fanno più paura, il buio è sopportabile, il Signore ci cambia la vita. Ecco cosa dobbiamo annunciare: c’è qualcuno che ti ridona luce, che ti permette di vederci chiaro, e questo qualcuno è Dio. I discepoli di Gesù, nei primi anni, venivano chiamati in diversi modi: i “Nazareni”,”coloro che seguono la via” e, ancora, gli “illuminati”. Non dobbiamo portare una nostra luce, solo restare accesi, abbracciare stretti il Vangelo e il Maestro per ricevere da lui luce e pace. Nelle tenebre fitte del dolore diventiamo capaci di comunicare luce, non la nostra ma quella del Maestro. Il cristiano diviene, come Bartimeo, colui che grida che Gesù, il Figlio di Davide, lo ha guarito, incurante dei rimproveri di chi gli sta intorno. Il cristiano racconta, narra, le opere di guarigione interiore che ha avuto, attento più a testimoniare la straordinaria generosità di Cristo che a soffermarsi sulle proprie povertà. Il cristiano è attento alle mille cecità, ai mille mendicanti di senso e di felicità che incontra sulla strada.
“Coraggio, alzati, ti chiama!”
Il tempo è gravido e, come Gesù, sentiamo compassione della folla che vaga come pecore senza pastore. Nella nostra povertà, nelle nostre debolezze, popolo di riconciliati, non di professionisti del sacro, raccontiamo, mettendoci in gioco, dell’incontro che segna la nostra vita. Solo così Gesù arriverà a scaldare i cuori di altra gente. Non bastano e non devono bastare i preti, a servizio della comunità, certo, ma non detentori dell’annuncio. No: nelle fabbriche, nei bar, nelle discoteche, nelle scuole, nei condomini, lì dove la gente vive, soffre, lavora, discute, ama, lì deve esserci un cristiano che illumina con la sua presenza. Lì può esserci un cristiano che con i suoi gesti smonta la falsa idea di un Dio noioso e rompiscatole che purtroppo abita la coscienza di molti battezzati, per lasciare spazio alla seducente immagine del Dio di Gesù Cristo, Padre ricco di tenerezza e di perdono. La Chiesa italiana, tutta intera la Chiesa, può e deve recuperare l’essenziale dell’annuncio, senza salire sulle barricate, ma dicendo ancora all’uomo mendicante di bene, di senso, di felicità: “Coraggio, alzati, il Signore ti chiama!”.
Paolo Curtaz