Anche il creato attende di essere liberato
Al centro della liturgia di oggi c’è il tema della parola di Dio. Nella prima lettura si parla di essa con l’immagine della pioggia che scende dal cielo e non vi ritorna senza aver prima irrigato la terra, averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e il pane da mangiare. Nel Vangelo si torna a parlare della parola di Dio, questa volta con l’immagine del seme che cade ora sui sassi, ora sulle spine, ora sul terreno buono e porta il suo frutto.
Abbiamo trattato il tema della parola di Dio, di come accoglierla, meditarla e metterla in pratica, alcune domeniche fa (vedi IX Domenica del Tempo ordinario) e questo ci permette di dedicare la nostra attenzione a un altro tema, assai attuale e che ricorre in questa sola occasione in tutto il ciclo dei tre anni: il tema dell’ecologia e della salvaguardia del creato. Nella seconda lettura dell’apostolo Paolo, leggiamo:
“La creazione […] è stata sottomessa alla caducità -non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. […].Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto”.
Questo testo famoso ci parla di una solidarietà, nel bene e nel male, nella libertà e nella schiavitù, tra l’uomo e il creato. Insieme gemono, insieme attendono, anche se il gemere dell’uomo è frutto della corruzione della sua libertà, quello del creato è partecipazione al destino dell’uomo. Siamo davanti al testo della Scrittura più vicino a quello che oggi si intende per ecologia e salvaguardia del creato ed è a questo tema che vogliamo dedicare la nostra riflessione, per cercare di metterne in luce il fondamento biblico.
Una visione in certo senso molto moderna, quella di Paolo. In essa il cosmo non è visto, alla maniera greca, staticamente e nella sua fissità, come qualcosa di perfetto fin dall’inizio, di cui ogni minima alterazione, secondo gli stoici, avrebbe compromesso l’armonia prestabilita. Al contrario, è visto dinamicamente, nel suo sforzo di tendere a un’armonia e a un ordine superiore (“i cieli nuovi e la terra nuova”): una visione che è certamente più vicina a quella evoluzionistica dei tempi nostri.
Ci sono due modi di parlare di ecologia e di rispetto del creato: uno a partire dall’uomo e uno a partire da Dio. Il primo ha al centro l’uomo. In questo caso, non ci si preoccupa tanto delle cose per se stesse, quanto in funzione dell’uomo: per il danno irreparabile che l’esaurimento, o inquinamento, dell’aria, dell’acqua, o la scomparsa di certe specie animali, arrecherebbero alla vita umana sul pianeta. È un ecologismo che si può riassumere nel motto: “Salviamo la natura e la natura salverà noi”.
Questo ecologismo è buono, ma molto precario. Gli interessi umani variano, infatti, da nazione a nazione, da emisfero a emisfero, ed è difficile metterci tutti d’accordo. Si è visto a proposito del famoso buco nell’ozono. Adesso ci siamo accorti che certi gas danneggiano l’ozono e vorremmo porre un limite a frigoriferi, bombolette spray e altre cose del genere, in cui tali gas sono impiegati. Ma i paesi in via di sviluppo, che solo adesso arrivano a dotarsi di queste comodità, ci rispondono giustamente che è troppo comodo, esigere da loro queste rinunce, quando noi ci siamo da tempo messi al sicuro.Per questo è necessario trovare all’ecologismo un fondamento più solido. E questo può essere solo di natura religiosa. La fede ci insegna che noi dobbiamo rispettare il creato non solo per interessi egoistici, per non danneggiare noi stessi, ma perché il creato non è nostro, è di Dio, è il capolavoro dello Spirito di Dio che lo ha tratto e lo trae continuamente dal caos per renderlo cosmo, cioè cosa bella, armoniosa, perfetta.
È vero che all’inizio, Dio disse all’uomo di ”dominare” la terra, ma in dipendenza da lui, dalla sua volontà; come amministratore, non come padrone assoluto. Egli ordina di “coltivare e custodire” il giardino (Genesi 2, 15): l’uomo è dunque custode, non padrone della terra. Tra lui e le cose c’è più un rapporto di solidarietà e di fraternità che di dominio. Tutti veniamo dallo stesso creatore; siamo tele diverse dello stesso pittore. Aveva compreso bene tutto questo san Francesco d’Assisi che chiamava fratello o sorella tutte le creature: il sole, la luna, i fiori, la terra, l’acqua.
Questo modo di porsi di fronte alla natura, ispirato dalla fede, non è solo poetico, ma può determinare atteggiamenti veramente nuovi ed “ecologici” anche in senso moderno. Di san Francesco è scritto che quando i frati andavano a tagliare della legna raccomandava loro di non recidere anche il tronco, affinché l’albero potesse ricrescere e rimettere foglie; l’ortolano doveva lasciare incolta una piccola porzione di terreno perché anche i fiori e le verdure selvatiche potessero avere spazio per crescere; raccoglieva gli insetti sulla strada per paura che i passanti li calpestassero; d’inverno portava del miele alle api perché non morissero di fame. “Chiamava fratello ogni specie di animale, anche se aveva una predilezione per quelli più miti e indifesi tra loro”.
A ragione, Giovanni Paolo II ha dichiarato il Poverello d’Assisi patrono degli ecologisti. San Francesco, con la sua scelta di una povertà libera e gioiosa, ci sprona a tornare a uno stile di vita più semplice e sobrio, senza di che l’ecologia resta un ideale puramente teorico. Egli era solito dire: “Non fui mai di elemosine ladro”. Pensava che ricevere più elemosine di quelle necessarie, fosse un rubarle ad altri poveri. Noi possiamo imparare da lui a non essere “ladri di cose”. Diventiamo ladri di cose (del legname, della carta, dell’acqua), se sciupiamo le risorse della terra, perché tutto ciò che noi usiamo, in più del necessario, lo rubiamo ad altri. Se non altro alla generazione che verrà dopo di noi, che se ne ritroverà drammaticamente priva. Quando buttiamo la carta nei rifiuti dovremmo, per esempio, ricordarci che un grande giornale domenicale costa alla terra decine di ettari di foresta!
L’ecologismo spirituale ci insegna però ad andare anche al di là della pura “salvaguardia” e del “rispetto” del creato. Ci insegna ad unirci al creato nel proclamare la gloria di Dio e a sentirci, in mezzo alle creature, “come un maestro di canto in mezzo a un coro sterminato”.
Ci insegna anche a fare di esse una scala per elevarci alla conoscenza di Dio.
“Stolti sono gli uomini che vivono nell’ignoranza di Dio e dai beni visibili non riconobbero l’artefice…. Se, stupiti per la bellezza delle creature, le hanno scambiate per divinità, pensino quanto è superiore il Signore che le ha create… Dalla grandezza e bellezza delle creature, per analogia, si conosce l’autore” (cfr. Sapienza 13, 1-5).
Dio ha scritto due libri: la Bibbia e il creato; l’uno fatto di parole, l’altro di cose. Questo secondo è un libro aperto davanti a tutti; tutti possono leggerlo, anche gli analfabeti. Per questo così spesso la Bibbia ricorre a fenomeni ed elementi naturali per istruirci sulle verità spirituali. Ci parla della parola di Dio con l’immagine dell’acqua e della pioggia, dello Spirito Santo con il simbolo del vento e del fuoco, di Dio con l’immagine della roccia…
Siamo ormai in piena estate, tempo di vacanze. Quello che stiamo dicendo ci può aiutare a trascorrere delle vacanze diverse, più belle e più sane. Il modo migliore di ritemprare il corpo e lo spirito non è passare le giornate addossati gli uni agli altri sulle spiagge e poi la notte pigiati nei night e nelle discoteche, continuando così, in altro ambiente, la stessa vita artificiale e caotica che si conduce nel resto dell’anno in città. Dobbiamo piuttosto ricercare il contatto con la natura, momenti in cui ci sentiamo in sintonia profonda con essa e con tutte le cose. È incredibile il potere che ha il contatto con la natura di aiutarci a ritrovare noi stessi e il nostro equilibrio interiore.
Dobbiamo imparare a contemplare. La contemplazione è la grande alleata dell’ecologia. Essa ci permette di godere delle cose, senza bisogno di possederle e di toglierle agli altri. Se uno ha la proprietà di un lago o di un parco, lo recinta di filo spinato ed è lui solo a goderne. Nella contemplazione, invece, mille uomini possono godere contemporaneamente dello stesso lago o parco, senza togliere nulla agli altri. Il possesso sottrae, la contemplazione moltiplica.
Gesù era un grande contemplatore della natura. “Guardate, diceva, i gigli del campo; guardate gli uccelli del cielo; guardate le messi che biondeggiamo…”. Le sue parabole sono la prova dell’amore con cui contemplava le cose. C’era una segreta intesa tra lui e la natura. Questo spiega, meglio che tanti ragionamenti, i miracoli di Gesù. È come se la natura al suo passaggio sospendesse le sue leggi e facesse delle eccezioni, come si fa quando arriva un amico. Qualcuno ha spiegato così il miracolo dell’acqua cambiata in vino: “A Cana l’acqua vide il suo creatore… e arrossì”.
Tutto quello che abbiamo detto trova una espressione poetica nel Salmo responsoriale di oggi. Ascoltandolo, siamo spinti anche noi a guardare la natura con occhi pieni di meraviglia e a lodare il creatore di tutto:
“Tu visiti la terra e la disseti:
la ricolmi delle sue ricchezze.
Il fiume di Dio è gonfio di acque;
tu fai crescere il frumento per gli uomini.
Così prepari la terra:
Ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle,
la bagni con le piogge
e benedici i suoi germogli.
Coroni l’anno con i tuoi benefici,
al tuo passaggio stilla l’abbondanza.
Stillano i pascoli del deserto
e le colline si cingono di esultanza.
I prati si coprono di greggi,
le valli si ammantano di grano;
tutto canta e grida di gioia”.