IL MOSAICO DELLA CHIESA DI SS. GIACOMO E GIOVANNI
di p. Marco Ivan Rupnik
- L’arte liturgica fa parte integrante dello spazio dove si celebra la santa liturgia. Nello spazio liturgico l’arte non può essere semplicemente decorazione, ne è elemento costitutivo. Per questo motivo bisogna pensare allo spazio liturgico come un’unità organica delle arti. Ogni arte deve avere il suo posto nell’insieme delle arti in relazione alla liturgia che si celebra. La liturgia all’interno della Chiesa è un’articolazione della vita e della santità della Chiesa. Per questo la Chiesa non può essere mai pensata come qualcosa di statico, ma piuttosto come qualcosa che è vivificato, non semplicemente vivo. Le arti esprimono questo dinamismo spirituale divino umano orientando la Chiesa con tutte le energie verso il punto vivificante che è l’amore trinitario comunicatoci in Cristo. La mente, la psiche, i sensi, tutto viene dall’arte orientato verso il punto focale che è Cristo. Leonid Uspenskij dice che tutto ciò che è nella Chiesa concentra l’occhio dell’uomo alla contemplazione di Cristo[1]. Così l’uomo che viene dal mondo, dal lavoro, dalle fatiche, dal travaglio della storia, l’uomo piuttosto frantumato, nella Chiesa si ricompone, si unifica, anche aiutato dalle arti dell’edificio ecclesiale. Per questo motivo bisogna aver il coraggio di superare l’abitudine di usare l’arte per la decorazione. E soprattutto bisogna evitare di usare l’arte come “immaginetta” per riempire spazi vuoti della chiesa. I celebranti e l’assemblea vengono inseriti nella Chiesa in modo che si crei un unico scenario spirituale. Gli elementi liturgici, le immagini, i colori, il canto, il movimento, tutto è fatto in modo che il confine tra l’oggi e l’eterno, tra il personale e il comunitario, tra il soggettivo e l’oggettivo sia continuamente varcato.
- Essendo la nostra cultura ormai decisamente impostata come cultura dell’immagine, del movimento e del colore, è indispensabile che si recuperi la grande sapienza dell’inculturazione della nostra fede nell’arte affinché la Chiesa diventi un’espressione di bellezza che affascina e attira. I secoli passati sono stati segnati dall’importanza del concetto e della parola, ma oggi è l’immagine l’elemento chiave della nuova era, e la liturgia è l’ambito per eccellenza per riscoprire l’immagine, il colore, nei loro significati più autentici e più profondi. È significativo che nell’epoca dell’immagine le persone non sappiano spiritualmente leggere le immagini. Ma la lettura spirituale delle immagini è importante perché favorisce lo stile di vita. Le immagini hanno presa sulla vita.
- Nella liturgia la Chiesa celebra Cristo che si comunica come Signore e Salvatore. La liturgia dischiude il mistero di Cristo nella sua verità oggettiva, cioè al di là dei nostri gusti, sentimenti, stili e percezioni. Allo stesso tempo ogni cristiano vive una relazione del tutto personale con Cristo e lo accoglie e gli si affida in modo del tutto unico. Per questo la liturgia viene segnata dalla cultura del luogo, del tempo, dai gusti delle persone e dalla percezione soggettiva. Sono due elementi inseparabili: quello dell’oggettività, che trapassa il tempo e affonda nella memoria e nella sapienza della Chiesa, nella Santa Tradizione; e quello della soggettività, del tutto nostra, che appartiene al tempo, al luogo dove il popolo di Dio celebra il Signore e la propria salvezza. Questi caratteri devono segnare anche l’arte che fa parte dello spazio liturgico.
- Il mosaico nella sua composizione di fondo attinge alla rivelazione dei Vangeli della Trasfigurazione sul monte e all’interpretazione teologico-dogmatica dei santi padri che hanno visto nella Trasfigurazione la chiave di lettura del mistero pasquale della morte e risurrezione di Cristo, come mistero centrale anche per la vita dell’uomo. “La trasfigurazione manifesta il rovescio glorioso della croce e anticipa la gloria della Risurrezione”[2]. Allo stesso tempo è un mosaico segnato dal tempo in cui viviamo, dall’arte del nostro tempo, da quelle correnti artistiche che optano per il materiale piuttosto che per il virtuale, che credono che già il materiale sia un linguaggio autonomo con cui l’arte può parlare e che il colore rimane la forza principale dell’espressione. Il mosaico si pone come elemento costitutivo di tutto lo spazio del santuario. Dovrebbe essere il vero sfondo organico di ogni celebrazione che in questo presbiterio si celebrerà. Perciò si deve presentare con una certa totalità, per accogliere ogni manifestazione liturgica con la quale instaura un rapporto non descrittivo, illustrativo, ma da simbolo[3].
- La Trasfigurazione sul monte è un evento che unisce i due testamenti, l’Antico e il Nuovo e dischiude lo sfondo trinitario della nostra fede. “Il mistero della Trasfigurazione è tridimensionale: riunisce l’Antico e il Nuovo Testamento intorno al Messia glorioso e anticipa la metamorfosi finale in cui i giusti splenderanno come il sole”[4]. Mosé è l’esodo che introduce l’esodo della croce, è la legge scritta che, abolita, viene rinnovata nello Spirito. Elia è la legge naturale che il peccato ha ridotta al nulla. Ambedue “scompaiono, nascoste dal sole del Vangelo: oppure sono illuminate da lui e attratte verso l’alto: o meglio ancora, raccolte in un solo mistero con il Sole stesso[5]. Per Teofane Carameus, Elia rappresenta il cielo dove si innalzato e Mosè gli inferi in cui è sceso, mentre i tre apostoli rappresentano la terra[6].
- In alto, la mano teofanica di Dio Padre si apre in un dono totale verso il creato e verso l’umanità. Noi non vediamo il volto del Padre, ma lo conosciamo attraverso la sua opera, cioè la creazione e redenzione, la sua mano che opera. La mano che ci benedice con ogni benedizione dal cielo è aperta in modo tale che non può trattenere niente, per indicare che è un dono assoluto e che non chiede niente per sé. Difatti scorre un flusso dal cielo, dalla mano, flusso che è la vita di Dio stesso, lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo ci comunica l’amore personale di Dio Padre e ci fa partecipare nel Figlio la figliolanza. Solo lo Spirito Santo ci rivela Cristo come Signore e Salvatore. Cristo è spostato dal centro della parete in modo che nell’asse centrale appare il rapporto tra Padre, Spirito e Figlio. La Trasfigurazione è una manifestazione della Trinità. “Accompagnando il Signore, totalmente invisibili, si trovavano là il Padre e lo Spirito Santo, uno testimoniando con la propria voce che “Questo è il Figlio mio prediletto”, l’altro, illuminando con la sua nube luminosa per mostrare che il Figlio era della stessa natura di Lui, il Padre, e che la luce era una sola. Perché la loro ricchezza è la loro comune natura e l’unica fonte dell’unico splendore”[7].
- Cristo nelle vesti bianche rigonfie e mosse dallo Spirito si trova in una mandorla blu che qui è scomposta. L’antica rappresentazione di Cristo nella Trasfigurazione all’interno di una mandorla blu scura voleva dire due cose: da un lato che lui si rivela come Dio e dunque è inaccessibile alla nostra mente, perciò il buio fitto; dall’altro una visione teologica ancora più forte, cioè che Cristo nella luce del monte Tabor è la vera luce, il vero sole e che il sole del cosmo si oscura davanti alla luce di Cristo. Non solo: le tenebre del mondo, anche quelle che sommergeranno Cristo nella passione non resistono di fronte all’assolutezza della sua luce e si frantumano in mille pezzi. Le vesti che diventano bianche e splendenti potrebbero suggerire che ciò che appartiene alla terra, all’umanità, alla cultura – ciò che Cristo porta come uguale a tutti gli uomini – diventa bello, trasparente: né la cultura, né niente della sua umanità può impedire di vedere la sua divinità. Avviene in anticipo il mistero dell’eucaristia: nel pane e nel vino, come le vesti bianche del corpo, il Signore è presente nella pienezza della sua divinità, la carne di Cristo è inseparabile dalla sua divinità[8]. Andrea di Creta identifica le vesti bianche con le Scritture: purificate e illuminate dallo Spirito, sono contemplate da quelli che amano le cose divine come Dio stesso[9]. Il volto di Cristo risplende come quello di Dio[10], è Luce da Luce vera[11] e questa è una profezia della risurrezione di Cristo[12], rivelazione della divinizzazione della nostra natura[13].
- La Trasfigurazione, dice Pavel Evdokimov “di fatto, è quella degli apostoli, i quali per un istante «passarono dalla carne allo spirito» e ricevettero la grazia di vedere l’umanità del Cristo come un corpo di luce, di contemplare la gloria del Signore nascosta sotto la sua kenosis e bruscamente svelata ai loro occhi disincantati”[14]. Dal lato destro vediamo s. Giacomo che con il mantello si crea il velo per proteggersi davanti alla luce: è una figura forte, in movimento, una figura energica perché per lui viene scritto che con il fratello furono chiamati Boanerghes, figli del tuono. Con il rotolo del libro che stringe fortemente in pugno e con il velo apre questa grande simbologia della conoscenza di Dio, della sua parola, così come la spiega s. Paolo nelle sue lettere.
- Al lato sinistro di Cristo vediamo Giovanni. Con la mano sul petto nell’antico gesto che indica la contemplazione. Giovanni si trova a metà tra Cristo e la grande croce, perché difatti sarà lui l’evangelista che riuscirà a unire la croce e la gloria di Dio. Giovanni come contemplativo è allora più asciutto di Giacomo che è più “agitato”, più attivo. Giovanni indica con la mano destra verso la Madre di Dio con la quale riceverà sotto la croce un reciproco affidamento consegnatogli dal Salvatore.
- Pietro si trova seduto e indica il posto per piantare tre tende. “Strabiliato dalla visione, Pietro voleva «piantare le tende» ed installarsi nella Parusia, nel Regno, prima della fine della storia. (…) Si vede perché la domanda di Pietro non ha ricevuto risposta: è attraverso la Croce che viene la Risurrezione e il Regno e bisogna condurvi «tutto l’insieme della creazione». Dopo la breve irruzione dell’Ottavo Giorno, è alla sua luce che bisogna riprendere la missione apostolica, ritrovare il mondo e discendere nel suo inferno”[15]. Scalzo, come Giacomo per indicare che si sente bene, che si sente a casa. Difatti il mondo trasfigurato in Cristo è il vero ambiente per l’uomo redento. Perciò tutta la parete è composta sullo schema di tre tende. Sin dall’Antico testamento la tenda significava abitazione, casa, dimora degli uomini e di Dio. Cristo trasfigurato è “l’ambito” in cui Dio e l’uomo abitano in una unione inseparabile.
- Le corde e la juta come materiali che partecipano all’opera d’arte vogliono ancora di più sottolineare il lavoro umano, l’abitazione umana che partecipa alla trasfigurazione del mondo, divenendo dimora piacevole, bella. Nelle grandi zone bianche vediamo come delle reminiscenze del cosmo, o insegne delle culture antiche nei colori oro, verde, rosso, blu che contribuiscono alla costellazione estetica, armonica e festosa dell’intera parete, indicando così che il mondo e le culture e tutto ciò che appartiene all’uomo è coinvolto nella trasfigurazione di Cristo. Anche le culture entrando in Cristo partecipano alla trasfigurazione e vivranno una loro risurrezione.[16]
- Il mistero della Trasfigurazione accade e si realizza nella Pasqua, nella morte e risurrezione di Cristo vero Dio e vero uomo. Perciò al lato sinistro vediamo la Madre di Dio che nel suo umile atteggiamento contemplativo indica la via della vita che è la croce e al lato destro l’angelo che in un gesto energico indica le bende bianche nella tomba vuota del Cristo risorto. Il mistero della vita dell’uomo non finisce sulla croce ma è la risurrezione il capolinea della parabola dell’uomo. Non si può giungere alla domenica di Pasqua evitando il venerdì santo. E non si può separare la croce dalla tomba vuota.
[1] E’ dunque l’immagine del mondo trasfigurato che sta alla base del principio che definisce l’aspetto di una chiesa, la forma degli oggetti e la loro collocazione, il carattere dei canti liturgici. Tale immagine del mondo trasfigurato regola l’ordine dei soggetti della decorazione come pure l’aspetto esteriore dell’immagine. E’ chiaro che una tale concezione di chiesa implica una armonia perfetta fra tutti gli elementi che la costituiscono, cioè la loro unità e pienezza liturgica. L’architettura, l’immagine, il canto, tutto deve ricordare al fedele che si trova in un luogo sacro. Ogni parte dell’edificio deve, nel suo aspetto, evocargli/mostrargli il suo senso, la sua destinazione.
Per formare un insieme armonioso, ogni elemento che compone una chiesa deve, prima di tutto, essere sottomesso all’idea generale e quindi rinunciare ad ogni ambizione di giocare un proprio ruolo, di valere per se stesso. L’immagine, il canto cessano di essere arti aventi ciascuna una via propria, indipendente dalle altre, per divenire forme diverse che esprimono, ognuna a suo modo, l’idea generale della chiesa, universo trasfigurato, prefigurazione della pace futura. Questa via è l’unica in cui ciascuna arte, in quanto parte di un tutto armonioso, può raggiungere la pienezza del suo valore e arricchirsi all’infinito di un contenuto sempre nuovo. [Leonid Uspenskij, L’icona, visione del mondo spirituale (in francese), Parigi 1948, p. 11].
[2]Y. De Andia, Le mystère de la trasnfiguration, in Mystique d’Orient et d’Occident., Abbaye de Bellefontaine 1994, p. 138.
[3] L’arte della Chiesa è, per la sua stessa essenza, arte liturgica. Non solo fa da quadro al servizio liturgico e lo completa, ma gli è in tutto conforme. L’arte sacra e la liturgia sono la stessa cosa, sia per il contenuto che per i simboli che lo esprimono. L’immagine deriva dal testo, gli prende in prestito i suoi temi iconografici e il modo di esprimerli.
Ora, ciò che noi vediamo nelle nostre chiese è spesso molto lontano da ciò che dovrebbe essere l’arte liturgica. C’è confusione fra due cose assolutamente distinte: la santa immagine e l’immagine santa, ossia la confusione fra l’arte liturgica e l’arte «religiosa», arte che, per sua essenza e per sua destinazione, per il suo modo di esprimersi e di trattare la materia, è un’arte profana a soggetto religioso. A causa di questa confusione, l’arte sacra è stata quasi completamente eliminata dalle nostre chiese e sostituita dall’arte religiosa. Leonid Uspenskij, cit., p. 12.
[4]Y. De Andia, cit., p. 139.
[5]André de Crète, Discours 7, Sur la Transfiguration de notre Seigneur, le Christ, cit. in M. Coune, Joie de la Transfiguration d’après les Pères d’Orient, Bellefontaine, 1985, p.177.
[6]Théophane Céramée, Homélie 59 en l’honneur de la salutaire Transfiguration de notre Seigneur Jésus-Christ, in M.Coune, Joie de la Transfiguration d’après les Pères d’Orient, Bellefontaine, 1985, p. 227.
[7]Grégoire Palamas, De la divine et déifiante participation ou de la divine et surnaturelle simplicité, tr. M. J. Monsaingeon et J. Paramelle suivi de G. I Mantzardis, La doctrine de saint Grégoire Palamas sur la déification de l’être humain, Lausanne, 1990, p. 188.
[8]Cf. Théophane Céramée, Homélie 59 en l’honneur de la salutaire Transfiguration de notre Seigneur Jésus-Christ, cit. in M. Coune, op. cit., pp. 230-231.
[9]André de Crète, op. cit., p.177.
[10]Basile de Séleucie, Sermon sur la Transfiguration de notre Seigneur, Dieu et Sauveur Jésus-Christ, PG 85, p. 457. (tr. in M. Coune p. 95-96).
[11]Jean Damascène, Homélie pour la fête de la Transfiguration de notre Seigneur, le Jésus-Christ, PG 96, p. 564 (tr. in M. Coune p. 199-201).
[12]Ephrem de Nisibie, Commentaire de l’Évangile concordant ou Diatessaron, Sources Chrétiennes, 121, Paris 1966, p. 245-246.
[13]André de Crète, op. cit., p.168.
[14] P. Evdokimov, Teologia della bellezza, Roma 1982, p. 281.
[15] Ibid., pp. 282-283.
[16] Cf. T. Špidlík, I grandi mistici russi, Roma 1987, pp. 343-344.