Commento al Vangelo del 14 Aprile 2017 – don Antonello Iapicca

OGGI LO SPOSO SCRIVE E FIRMA CON IL SUO SANGUE IL DOCUMENTO CON CUI UNISCE A SE’ LA SUA SPOSA

L’angoscia di Gesù che si innalza al Padre come una preghiera sulla quale cola il sangue che solo l’amore autentico può versare. Gesù, lo Sposo che ama la sposa sino alla fine, e la sposa addormentata, incapace di sostenere il peso che suppone l’amore. Tutta la Passione del Signore si compie nel Getsemani, dove la sua natura umana è consegnata alla volontà del Padre. Prostrato sulla terra della quale tutti siamo fatti Gesù firma anche oggi la sua Ketubah con cui, accogliendo la volontà del Padre che ci ha creati per Lui, si impegna a fare di noi la sua sposa.

Nel matrimonio ebraico la Ketubah era infatti un documento (Ketab – scritto) nel quale erano riportate le condizioni fondamentali imposte al marito dalla Torah. Esse erano parte integrante del matrimonio perché, accettandole, il marito si impegnava a proteggere la sua sposa. Come il “mohar” biblico, la Ketubah stabiliva il cosiddetto “prezzo della sposa”, pagato il quale il futuro sposo accoglieva nella sua casa la promessa sposa impegnandosi a provvedere alla sua vita e a quella della prole.

Si comprendono allora le parole di San Paolo: “non sapete che… non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo” (1 Cor. 6,19-20) e “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata (Ef 5, 24-26).

Con il suo sangue versato per lavare ogni nostro adulterio Gesù ci ha rigenerati come vergini caste scelte dal Padre per un unico Sposo. Con lo stesso sangue ha vergato il documento con il quale ci ha accolto nella sua intimità impegnandosi a proteggerci e a provvedere per la nostra vita. Il racconto della sua Passione schiude dinanzi alla sua sposa la Ketubah scritta e firmata dallo Sposo. Ogni istante, ogni parola, ogni gesto costituisce una lettera insanguinata che testimonia l’autenticità e il valore infinito del suo amore per ciascuno di noi. Perché l’amore non è un sentimento, ma l’impegno duro e spesso cruento della fedeltà.

Ogni colpo di flagello, ogni insulto, ogni sputo, e poi i chiodi, le spine, la Croce, l’aceto, l’asfissia, la solitudine e l’estremo abbandono, sono alcune tra le condizioni che Gesù ha onorato per pagare il prezzo del nostro riscatto. Gesù ci è stato fedele provvedendo alla nostra salvezza caricandosi di ogni nostra infedeltà. Non ci ha giudicato né ripudiato. Ci ha amato, sempre, passo dopo passo, dolore dopo dolore, sino alla fine, sino alla tomba che ha decretato il nostro fallimento. Gesù ha amato una sposa adultera, infervorata per gli amanti, narcisisticamente ripiegata a contemplare il proprio io divenuto dio. Gesù ha sposato ogni centimetro della nostra storia registrata, attimo dopo attimo, peccato dopo peccato, negli eventi, nelle parole e nei personaggi della sua Passione.

Ma questa è stata il parto doloroso delle nozze decise nel grembo del Gestemani. In esso Gesù ci aveva liberamente accolti sperimentando in anticipo il sudore freddo dell’agonia; in quel giardino aveva pregustato il dolore che suppone amare una sposa adultera sin dentro il suo tradimento più grave, quello che l’ha condotta a uccidere il suo Sposo.

Nel Getsemani dello Shemà compiuto, Gesù ha sperimentato nel suo cuore, nella sua mente e nella sua carne il sacrificio che avrebbe significato pagare il prezzo per onorare la Ketubah con cui legarci a Lui. Gesù sapeva, ha tremato assediato dall’angoscia, ha sudato il sangue che avrebbe versato dopo poco, e ha accettato con amore infinito la Ketubah che il Padre gli consegnava: “Abbà, Papà, tutto è possibile a te… Ma credimi, è duro il calice di queste nozze. E’ amaro come il fiele e aspro come l’aceto, come la sposa con cui mi chiami a berlo. Se fosse possibile passerei oltre ma… ma l’amore non è seguire la carne e i suoi desideri; non è fare secondo la mia volontà umana. L’amore è accogliere la sposa che tu hai preparato per me, senza riserve, gettando la mia carne nell’obbedienza che mi fa Dio con te”. E Gesù ha preso dalle mani del Padre il Calice dell’Alleanza per colmarlo con il suo sangue, nel quale avrebbe celebrato e benedetto le nozze con noi sua sposa. Perché, come dicono i rabbini, “Non si celebrano i Kiddushin (matrimoni) altro che sul vino”.

Secondo la Legge ebraica gli sposi non potevano vivere insieme sino a che lo sposo non avesse consegnato la Ketubah alla sposa mentre venivano recitate le benedizioni del fidanzamento. Per consegnarla a ciascuno di noi Gesù ha dovuto camminare nella Passione, salire sulla Croce e scendere nel sonno della nostra stessa morte. E’ lì che ci viene a destare anche in questa Pasqua, per consegnarci il suo amore incorruttibile nel quale ci sposa eternamente. E’ vero che nel Gestemani delle scelte ci siamo tutti addormentati. La paura di amare sino in fondo ci ha appesantito il cuore. Questa è la sposa di Cristo, tu ed io, sopraffatti dall’angoscia perché ancora schiavi nell’Egitto della menzogna (“Egitto” in ebraico significa proprio “angoscia”).

Ma Gesù scende anche oggi nel giardino a cercare la sua sposa, si immerge nel suo stesso sonno di morte per lottare al suo posto, vincere e così destarla alla vita che non muore. Accade nel Mistero Pasquale ciò che avvenne durante la Creazione di Eva plasmata dalla costola di Adamo dormiente; come accade durante l’alleanza tra Dio e Abramo caduto in un sonno profondo mentre il fuoco divino passava sotto le carcasse degli animali squarciati.

La Ketubah, infatti, è un contratto unilaterale nel quale sono registrati i doveri dello sposo verso la sposa. In questa Pasqua dobbiamo solo essere noi stessi: addormentati nei tanti nostri pensieri e atteggiamenti, ma con lo stesso cuore della sposa del Cantico dei Cantici, desto come la brace scoppietta sotto la cenere del sonno, nell’attesa dello Sposo per il quale siamo stati creati. Sì, non siamo nati per buttare la vita nella tomba dei fallimenti! Siamo nati per incontrare l’Amato del nostro cuore, l’unico che ha scritto e firmato la Ketubah capace di dare senso e compimento alla nostra vita.

E lo Sposo verrà, come già sul Sinai “la Shekhinah di Dio è uscita incontro al popolo come uno sposo che esce incontro alla sposa” (Mekhilta al libro dell’Esodo) per consegnarle la Torah, la Ketubah celeste con la quale Dio si impegnava condurre nella vita il suo Popolo. E tutti, come Israele, l’abbiamo stracciata nell’infedeltà all’Alleanza. Per questo viene di nuovo lo Sposo per consegnarci la Ketubah compiuta nella sua carne. Essa certifica che il matrimonio ha avuto davvero luogo tra due sposi ben identificati, tu e Lui, la Chiesa e il suo Signore; su di essa sono registrati la data e il luogo della celebrazione, questa Pasqua nella tua storia.

Coraggio fratelli, perché la Passione con cui Gesù ha compiuto la Ketubah che ci fa sua sposa sarà la nostra proprietà più preziosa, il pegno e il memoriale a cui la sposa si appoggerà ogni giorno per camminare nella vita nuova sotto la protezione dello Sposo. L’ha compiuta per noi e la compirà in noi scrivendo nei nostri cuori la Legge, per renderci spose simili a Lui, nella fedeltà e nell’amore crocifisso che giunge anche al nemico.

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Dalla Passione di Gesù

“Giuseppe d’Arimatea… chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse… Vi andò anche Nicodemo… e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i giudei” (Gv 19,38-40). “Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova che si era fatta scavare nella roccia: rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro se ne andò… Il giorno dopo, che era Parasceve (venerdì, giorno in cui si facevano i preparativi per il sabato), si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei dicendo: “Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore disse, mentre era vivo: dopo tre giorni risorgerò. Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima! Pilato disse loro: Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete. Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia” (Mt 27,59-66).

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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